(Tempo di lettura 3 minuti)
L’Australia ha preso il posto dell’Amazzonia nelle nostre preoccupazioni e nei nostri incubi diurni. Le notizie che ci sono giunte sulle conseguenze dei roghi che si sono sviluppati, sono certamente drammatiche. Parlano di ca. 10 milioni di ettari di territorio coinvolto (un terzo dell’Italia), persone morte o senza casa, un numero elevato di animali periti nelle fiamme, quattrocento milioni di tonnellate di CO2 riversate nell’atmosfera (pari a quelle emesse da vulcani e altri processi geologici, ogni anno, nel mondo).
Le informazioni che ci arrivano attraverso il web e la televisione, si mescolano con immagini e grafici, che cercano di semplificare e di razionalizzare o di emozionare, spesso senza riuscire, però, a venirne a capo.
Scopriamo così che la foto satellitare che avrebbe dovuto rappresentare gli incendi in corso, era in realtà un’elaborazione grafica che rappresentava gli incendi scoppiati dal 5 dicembre 2019 al 5 gennaio di quest’anno. Essendo priva delle opportune didascalie, ci forniva l’impressione di un paese quasi dappertutto in fiamme, nonostante alcuni roghi fossero spenti o esauriti.
D’altro canto, alcuni altri, insospettabili e inusuali indicatori, come l’aumento del prezzo della lana merinos del 5,1%, alla prima asta del nuovo anno, riportato dal Sole 24ore del 15 gennaio, ci confermano che qualcosa di molto grave è accaduto.
Non mancano poi i fatti resi possibili dai social. Come la raccolta di fondi, a favore dei territori colpiti dagli incendi, lanciata dalla “naked phylantropist” Kaylen Ward, che ha promesso una sua foto nuda a chiunque avesse potuto dimostrare, tramite una ricevuta, di aver versato almeno 10$ a uno degli enti impegnati nei soccorsi.
Nel frattempo, al PAC di Milano, fino al 9 febbraio 2020, è in corso la mostra “Australia. Storie dagli antipodi”, a cura di Eugenio Viola, che propone una selezione di 32 autori di differente genere ed estrazione culturale. La rassegna è stata preparata in un periodo antecedente lo scoppio degli incendi e contiene opere che coprono un periodo di tempo molto ampio, dagli anni settanta a nostri giorni.
Non c’è dubbio che la tematica sociale e politica sia quella che occupa la maggior parte delle opere, data da un lato la provenienza aborigena di molti artisti e considerata anche la drammaticità delle vicende che hanno interessato quelle popolazioni. Per questo molti sono lavori di denuncia, di testimonianza, di solidarietà che possiedono una forte drammaticità.
La tematica ambientale è esplicitamente presente nelle opere di Jill Orr, risalenti al 1979, anche se l’autrice ha continuato il suo impegno in questa direzione. Nella serie di foto Blending Trees, la Orr usava il suo corpo nudo come elemento “naturale” mescolato agli alberi e alla terra per sottolineare la loro condizione.
L’artista Mike Parr è presente con opere del 1975, in cui è fotografato con degli alberi bruciati in una zona tradizionalmente abitata da una delle popolazioni aborigena, mentre utilizza i carboni per segnare le proprie costole. In occasione della mostra di Milano ha realizzato una performance site-specific, intitolata Towards a Black Amazonian Square, a sottolineare la preoccupazione per gli incendi che hanno colpito quella regione.
Un riferimento, drammatico, agli incendi è contenuto nelle opere di Vernon Ah Kee. Qui le fiamme sono quelle usate per bruciare e offendere i corpi degli aborigeni linciati nelle violenze che hanno colpito quelle popolazioni. Non è un caso che l’artista usi il carboncino per disegnare questi uomini senza volto, con le mani legate e il corpo segnato dalle ferite.
Molte sono le problematiche affrontate dagli altri autori, un’occasione per conoscere meglio quel paese, al di là dei bagliori.