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Ampelio Tettamanti (1914-1961) fu esponente di quel gruppo di artisti del realismo milanese, formato, tra gli altri, da Giovanni Fumagalli, Aldo Brizzi, Angelo Ferreri, Maria Antonietta Ramponi, Giuseppe Scalvini, che, negli anni ’50, si riuniva nella galleria “Borgonovo 15”. Artista politicamente impegnato, dipinse operai, contadini, mondine, donne intente al lavoro domestico, fabbriche, le Bovise.
I suoi lavori si aggiudicarono numerosi premi: nel 1955 il premio Suzzara, nel 1958 il premio Modigliani e nel 1961 il premio Ramazzotti. Viaggiò in Cina e Russia, dove schizzò scene di vita quotidiana e disegnò per Feltrinelli la copertina, della prima edizione, del Dottor Zivago di Boris Pasternak.
Nell’ultimo periodo della sua vita, Tettamanti si allontanò dalla corrente realista e dipinse boschi e rovi fittamente aggrovigliati.
A questo ultimo periodo della pittura di Tettamanti, si può accostare questa frase di John Berger, tratta dal suo volume “Sul Guardare”, nel capitolo “Seker Ahmet e la foresta”: “…Se la foresta ci attrae e ci riempie di terrore e perché ci vediamo dentro di essa…. Benchè sia circoscritta, la foresta ci accerchia. Questa sensazione, familiare a chiunque conosca una foresta, nasce dalla duplice visione che abbiamo di noi stessi. Ci facciamo strada nella foresta e contemporaneamente ci vediamo, come dall’esterno, inghiottiti dalla foresta.”
Il paesaggio dipinto da Tettamanti, non solo quello industriale delle fabbriche e delle periferie, ma anche quello vegetale dei boschi e dei grovigli della sua ultima produzione è, però, nel frattempo, profondamente cambiato.
I filari di alberi e le e siepi che si vedono sugli sfondi delle risaie in cui lavorano le sue mondine, si sono fortemente ridotti, quando non scomparsi. Essi erano impiegati per dividere i confini delle proprietà ma sono stati, man mano, eliminati a causa dell’aumento delle dimensioni medie delle superfici lavorate e della meccanizzazione delle lavorazioni agricole. Secondo Paolo Lassini, dell’Associazione Casa dell’Agricoltura, all’inizio del Novecento, nella pianura lombarda, se ne stimava una densità media di oltre 200 metri lineari per ettaro che, negli anni ’70, in provincia di Milano, era già ridotta ad appena 20,4 m/ha e ora, è di poco superiore ai 10 m/ha.
Il loro ripristino avrebbe anche un importante ruolo ecosistemico, perché favoriscono una maggiore biodiversità, offrendo riparo a invertebrati, uccelli e mammiferi. Inoltre, oltre ad assorbire CO2, limitano il vento, accumulano sostanza organica, contribuiscono alla difesa idrogeologica riducendo la velocità di scorrimento delle acque, riducono il rumore e possono intercettare il 70-80 % dell’azoto e del fosforo trasportati dalle acque meteoriche.
Sempre secondo Paolo Lassini, siepi e filari sono ideali per la realizzazione di un bosco diffuso. Per quanto riguarda la Città Metropolitana di Milano, se si passasse da 10 a 25 m/Ha, mettendo a dimora 2 milioni di piante forestali, si otterrebbero 1.400 ha equivalenti di nuovi sistemi verdi lineari e boschi in rete, lungo il reticolo idraulico.
Gli strumenti giuridici necessari: piani integrati d’area realizzati con accordi quadro territoriali, contratti di distretto, convenzioni trentennali tra Ente locale – proprietario – agricoltore e i fondi sono già disponibili. Se abbiamo la soluzione dov’è il problema? Il nostro ambiente ma anche i nostri sogni hanno bisogno di grovigli.