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Ognuno di noi si chiede cosa poter fare per l’ambiente. Piantare alberi, ridurre il consumo di materiali monouso, favorire produzioni sostenibili, sono alcune delle azioni virtuose che possiamo compiere ma anche l’arte, a suo modo, può ispirarci. Ne ho avuto una riprova durante la visita della mostra “Incidenze del vuoto”, di Giuseppe Penone, uno dei più importanti artisti italiani, esponente del movimento Arte Povera, conclusasi da poco a Cuneo.
La mostra era stata allestita nella grande navata della chiesa di San Francesco, un monumento nazionale che da solo sarebbe valsa la pena del viaggio. L’esposizione era composta di poche grandi sculture e ho iniziato il percorso di visita, costretto anche dalla dimensione, da “Matrice” (2015). L’opera consiste di un abete di una ventina di metri di altezza, diviso longitudinalmente e disposto lungo tutta la navata della chiesa, in modo da far toccare le due cime. L’albero è scavato e levigato fino all’alburno, in modo da mettere in evidenza le varie diramazioni dei rami della pianta. Su una delle sezioni della conifera è collocato il bronzo ottenuto impiegando i due semicilindri della pianta come matrice, appunto. Mi sono soffermato molto tempo su quest’opera, girandole attorno più volte, dato che era difficile da abbracciare tutta con lo sguardo.
Sono passato poi a “Suture”, del 1987-1991; una calotta cranica, creata da un vuoto individuato da quattro linee frastagliate di metallo, collegate al centro della scultura con un tubolare di vetro che contiene terra perché, per Penone, il pensiero viene dalla terra. Ho dedicato ancora del tempo per guardare i bozzetti di “Identità”, un’opera in esposizione permanente all’ingresso del Museo di Rivoli e per ascoltare le prove del concerto che si sarebbe tenuto la domenica successiva, quando ho scoperto i “Gesti vegetali”. Dico scoperto perché queste sculture erano quasi nascoste dalle grandi dimensioni di Matrice ed erano collocate in una zona meno illuminata della navata. Le opere risalgono al 1983-1986. Si tratta di figure umane, realizzate attraverso la fusione in bronzo, di un profilo in creta lavorata come una corteccia dalle mani dall’artista. Penone voleva indagare sulla relazione tra umano e vegetale e per questo venivano collocate all’aria aperta, in modo che attraverso i vuoti crescessero delle piante così che il loro aspetto ne venisse modificato e completato nel corso del tempo.
Di fronte ai “Gesti vegetali” sono rimasto incantato perché mi comunicavano tutto il rapporto di Penone con i “gesti” dell’esperienza contadina, sua e della sua famiglia. Nella presentazione di una mostra del 1970, Penone aveva infatti raccontato che il suo antenato Giovanni Battista aveva acquistato, il 25 settembre del 1881, un podere nel Comune di Garessio che era coltivato a vigna, patate e grano a ciclo alternato, con un lavoro eseguito completamente a mano. Nel 1969, il padre, Pasquale Penone, continuava a lavorare il podere con gli stessi metodi e l’artista registrava, puntigliosamente, che, ogni anno, in quella terra, “penetrano 160/170 ore di lavoro che moltiplicate per 88 anni danno 14.520 ore di lavoro”. In un’intervista a Mirella Bandini del 1972, affermava che il nonno faceva già splendidi lavori d’arte: una strada scavata nella roccia per 500 metri; la rimozione e l’interramento di grandi massi per adibire un terreno a prato; l’innesto di 1.500 alberi; la mietitura annuale di 16.000 mq; la mungitura a mano di 18 mucche al giorno e il taglio dei boschi e il trasporto del legname.
Le figure dei “Gesti Vegetali” rivelano tutto questo. Sono quasi accasciate mentre riposano ancora con la zappa in mano, o coricate su un fianco, o sedute o inginocchiate o mentre camminano. Sono la messa a fuoco e a nudo di un ricordo, di un legame. Non sono “vegetali” perché collocate tra le piante o perché all’interno dei loro vuoti crescono delle piante ma perché vegetali sono gli esseri, come gli alberi, che incorporano il tempo e la memoria nella loro struttura.
Su Penone è stato già scritto moltissimo. È un artista di grande produttività e complessità che riflette continuamente sulla natura e sulla relazione tra essere umano e natura e che ha realizzato un corpus di opere che approfondiscono sempre più il tema. Enorme è la bibliografia su di lui e io posso solo aggiungere l’emozione e i ricordi che ho provato guardandole. Così ho pensato a mio nonno Giuseppe, contadino con poca terra, che, per riposarsi, si metteva accovacciato sulle ginocchia, in una posizione che si sarebbe collocata bene tra i “Gesti vegetali”.
Ma più importante è che le opere di Penone ci aiutano a rispondere alla domanda iniziale di quali possono essere, oggi, i gesti vegetali, cioè i “gesti militanti” da compiere per l’ambiente. Esse ci suggeriscono che, in primo luogo, occorre conservare la memoria delle nostre origini. Quando la “memoria contadina” del nostro paese, tra una o due generazioni, sarà scomparsa e il ricordo dei nostri nonni definitivamente affievolito, le sue sculture, potranno forse scuotere ancora chi le osserverà e suggerire il messaggio degli alberi e della terra come misura e memoria del tempo.