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“La vita gioca con me” è l’ultimo romanzo di David Grossman, pubblicato nel 2019. Racconta la storia, terribile e bellissima, di Eva Panic Nahir, che nel romanzo si chiama Vera Novak, di sua figlia Nina e della nipote Ghili. Tre donne unite e divise dalla decisione di Vera che, rifiutandosi di definire spia stalinista il marito Milos, comunista serbo morto suicida in carcere, viene condannata al Gulag e costretta ad abbandonare la figlia di tre anni. La decisione di Vera ha segnato profondamente la vita di Nina, che ha lasciato il marito Rafi e la figlia Ghili e si è rifugiata in un’isola oltre il circolo polare artico e anche quella di Ghili che, a sua volta, ha un rapporto molto difficile con la madre.
Il romanzo prende spunto dalla festa per il novantesimo compleanno di Vera Novak, in cui tutti i quattro personaggi si ritrovano. Per capire, fino in fondo, i motivi della decisione di Vera e cercare di porre fine al loro malessere, Rafi e Ghili convincono Vera e Nina a intraprendere un viaggio nei luoghi natali di Vera e Milos e poi nell’isola di Goli Otok (Isola Calva), dove si trovava il Gulag in cui era stata rinchiusa Vera. Rafi e Ghili filmeranno tutto in modo che resti traccia del viaggio e delle cose dette. Il romanzo è molto bello e la tensione psicologica tra i vari personaggi avvincente. Il racconto di Vera, che procede a fasi alterne e che si rivelerà completamente solo nel soggiorno nell’isola, allontana e avvicina continuamente le tre donne.
Non ci sarebbe motivo di parlarne nella Città Vegetale se tra i protagonisti del romanzo non ci fosse una piccola pianta, elemento sottovalutato dalla maggior parte delle recensioni del libro, ma che assume un’importanza cruciale nella storia di Vera e nella sua capacità di sopravvivere al terribile regime del Gulag.
A Goli Otok, un lager in cui le guardie sono a loro volta prigioniere che hanno scelto di accettare di confessare reati non commessi, Vera è dapprima costretta ai lavori forzati e poi inspiegabilmente, quando la fatica e la denutrizione l’hanno resa temporaneamente cieca, viene portata in cima alla collina, dove deve restare ferma nella posizione in cui le guardie la sistemano di fronte al sole, fino al tramonto.
Vera non sa spiegarsi il perché di questo nuovo terribile trattamento, finchè una giovane guardia, definita da lei “umana” e un’altra prigioniera non glielo rivelano. Il suo corpo deve fare ombra a una piantina che la comandante del campo, la spietata compagna comandante Maria, ha portato da Belgrado e ha piantato in cima alla collina dove c’è un lembo di terra. La notizia viene così commentata dall’altra prigioniera: “Non appena ho saputo che c’è una piantina sull’isola…mi sono sentita meglio. Come se ci fosse la speranza che un giorno ce ne andremo da qui…Toccala una volta per me, promettimelo”.
Vera, ancora non vedente, portata di nuovo sulla collina, scopre la piantina, tocca le sue foglioline “di velluto, diafane, ricoperte di una peluria leggera”. Il sentimento che proverà per la piccola pianta oscillerà tra l’odio per essere causa della sua tortura e il bisogno di toccare questo simbolo di vita che le fa pensare che la sua vita continuerà e che lei non morirà di fatica nel Gulag. “Avrà ancora una vita improvvisamente lo sa…Grazie a lei, all’ombra del suo corpo avvizzito, riarso, …se la piccola sopravvive da così tanto tempo.”
L’amore che ha sviluppato per la piantina sarà però causa della morte di quest’ultima. Preoccupata perché la sente ammalarsi, Vera chiede di parlare con la comandante del campo, perché ne affidi a lei la cura. Maria, a questo punto, sa che Vera conosce il suo segreto, ma non può permettersi che sia rivelato e per questo condanna la piantina alla morte e le comanda di strapparla. Vera “per la prima volta in vita sua implora qualcuno. Non per salvare la propria vita, ma per quella della pianticella. Implora fino alle lacrime. Riceve una sferzata pigra sulla nuca e un’altra alla tempia, sopra l’orecchio. Non ha senso ribellarsi. Strappa la pianticella facilmente, come se non avesse radici. Stringe fra le dita le piccole foglie quasi nere. Com’è possibile che fosse tanto esile?”
Un bellissimo libro, da leggere.
scritto male e concitato. il viaggio in macchina ai limiti del ridicolo
Gentile Antonella grazie del commento. Ci sono certamente alcune parti del libro che funzionano meno ma io ho trovato tragica la storia della protagonista e Grossman meritevole di averla raccontata. Credo che il libro abbia interessato molti perchè questo post ha avuto oltre 2000 visualizzazioni.
libro interessante. Necessitava di maggiori particolari sulla vicenda storica di Milos.
Grazie del commento. Le stesse informazioni su Eva Panic Nahir sono molto scarse in Italiano e le ho reperite traducendo (con Google) il sito di wikipedia Serbia che avevo linkato nel post.
E’un libro avvincente e intenso che mi ha fatto scoprire e conoscere uno dei tanti aspetti della seconda guerra mondiale che non conoscevo.Non e’pero tanto appassionante e coinvolgente quanto gli altri libri di Grossman che ho letto precedentemente come A un cerbiatto somiglia il mio amore,Qualcuno con cui correre, Che tu sia per me il coltello etc.
Gentile Elena grazie del commento. Io sono stato attratto alla lettura dal personaggio storico di Eva Panic. Sono d’accordo con il suo giudizio ma ho inserito il romanzo nel mio blog per il particolare ruolo rivestito dalla piccola piantina che in quella difficilissima condizione la spinge a desiderare di sopravvivere.