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La Dott.ssa Cosima Buccoliero, direttrice del carcere di Bollate (MI), in un bel TED dedicato alla realtà carceraria italiana, fa notare che, se ci fosse chiesto di disegnare la pianta di una città, molti di noi dimenticherebbero di inserire il carcere perché non sanno o non vogliono immaginarselo. Per rendere chiaro cosa esso sia, usa tre sostantivi: reclusione, privazione, dipendenza. Si è ristretti in uno spazio, si è privati delle libertà, si dipende dagli altri per qualsiasi cosa, anche per un’aspirina. A tutto ciò si aggiunge il sovraffollamento che amplifica e peggiora le condizioni della detenzione.
La separazione tra “dentro” e “fuori” il carcere e il ripiegamento del detenuto su sé stesso sono il principale ostacolo al suo reinserimento nella normalità della vita sociale e alla realizzazione della funzione educativa della pena, previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione. Per questo lo sforzo degli operatori e dell’amministrazione carceraria si è concentrato sull’avvicinamento di questi mondi, realizzando una serie di attività lavorative e ricreative. Tutto ciò non tanto per rendere “più comoda” la vita dei reclusi ma per tenerla sincronizzata su ciò che accade nel mondo esterno in cui dovranno rientrare. L’elenco di queste attività lascia stupito chi lo consideri per la prima volta. Si va da attività di call-center, a ristoranti e attività di catering, a laboratori di liuteria e di selleria, alla produzione di prodotti alimentari, alla realizzazione di spettacoli di teatro. Naturalmente la realtà dei vari istituti di pena non è omogenea e le attività svolte dipendono da una molteplicità di fattori. Caratteristiche della struttura e dei detenuti, partecipazione dei volontari, disponibilità delle guardie carcerarie, appoggio di sponsor esterni e istituzioni concorrono a creare le condizioni per il loro sviluppo.
Nel corso di occasionali visite in alcuni istituti di pena ci siamo chiesti quale ruolo fosse assegnato alla cura delle piante e alla pittura nella vita dei detenuti, facendo delle scoperte e ponendoci ulteriori domande. Abbiamo appreso, in primo luogo, che nel carcere di Bollate esiste dal 2007 un vivaio, realizzato da giardinieri detenuti e liberi volontari, riuniti nella Coop. Sociale Cascina Bollate. Questi ultimi, sotto la supervisione di Susanna Magistretti, non solo hanno imparato un mestiere, ma realizzano una produzione di qualità in vendita anche on-line e organizzano visite e corsi di giardinaggio. Nel carcere di Opera (MI), alcuni detenuti seguono i corsi del vicino Istituto Tecnico Agrario di Noverasco (MI). Molte carceri in altre località italiane hanno realizzato “progetti verdi”, in particolare per la creazione di zone in cui i colloqui con i familiari, soprattutto più giovani, potessero svolgersi in un clima meno ansiogeno.
Numerose anche le iniziative nel campo della pittura. Outside/Inside/Out – Arte a Regina Coeli (Roma) con alcune street artist; “Non me la racconti giusta” e “Outdoor”in collaborazione con il Museo del 900 di Firenze a Solliciano (FI); “L’arte della libertà” con la collaborazione dell’artista Loredana Longo all’Ucciardone di Palermo; i laboratori di pittura “Artiviamoci” nelle carceri di San Michele e Don Soria di Alessandria, solo per citarne alcune. A queste si affiancano alcuni talenti individuali che hanno realizzato opere, come quelle dedicate al Natale, che sono state effigiate in francobolli dello stato del Vaticano o scelti da Poste Italiane per il progetto “Filatelia nelle carceri” e che riproduciamo nello slider.
Abbiamo chiesto al Dott. Luigi Pagano, già direttore di numerosi istituti penitenziari e successivamente dirigente del Ministero della Giustizia, che tanto ha contribuito alla realizzazione di molte di queste iniziative e di cui è in uscita il volume “Il Direttore”, pubblicato dall’Editore Zolfo, se un detenuto possa avere una piantina in cella o gli strumenti per dipingere. Lui ci ha dichiarato: “La risposta non è semplice perché non esistendo un regolamento delle attività consentite, tutto ciò che è differente dall’ordinario può diventare un grattacapo per il direttore del penitenziario. Premesso che per ambedue deve essere rivolta una richiesta che dovrà essere approvata, la pittura è considerata tra le attività di bricolage e quindi è più semplice. Per le piante invece potrebbe scattare nella mente il rischio che diano la possibilità di nascondere qualcosa. Naturalmente tutto dipende dalla relazione direttore-istituto-detenuto. Se si è scelto di favorire la riabilitazione si privilegia la possibilità di fare, assumendosi il rischio degli imprevisti.”
Per chiudere questo post, abbiamo scelto una frase riportata sul sito web della Coop. Cascina Bollate: “Il giardino non è solo luogo di pace e serenità. È anche un posto dove impari dai fallimenti. Sono i fallimenti che ti insegnano la pazienza, la precisione e la cura necessaria in quello che fai”.
Il dipinto che illustra questo post è stato realizzato nel 1990 dal detenuto Giuseppe Loverso. Ritrovato nella sua cella di San Vittore, è stato consegnato al Dott. Salvatore Grillo e oggi è esposto nello studio del Dott. Giuseppe Carocchi a Pistoia.