Uomini, natura e denaro nel “Capitalocene” di Silvio Valpreda


(Tempo di lettura 4 minuti)
Silvio Valpreda-Illustrazione dal libro “Capitalocene. Appunti da una nuova era” (dettaglio)-2020

Ci sono argomenti complessi che non sono di facile spiegazione. Per fortuna ci sono autori che, grazie ai particolari strumenti di cui dispongono, sono in grado di renderli facilmente comprensibili, come nel caso di Silvio Valpreda e del breve libro “Capitalocene. Appunti da una nuova era”, da poco uscito in libreria. Silvio Valpreda (1964), di formazione ingegnere meccanico, è un designer, artista e scrittore che da anni conduce una particolare ricerca legata alle questioni sociali, impiegando grafica, fotografia e scrittura come mezzi di indagine parallela.

L’argomento che affronta è entrato nel dibattito economico e politico per opera del sociologo americano Jason W. Moore che, nel 2016, ha pubblicato il volume “Antropocene o Capitalocene?”. Antropocene è il termine impiegato dal chimico e premio Nobel Paul Crutzen per indicare l’era geologica che stiamo vivendo, caratterizzata dal forte impatto dell’attività umana su tutti i parametri ambientali terrestri a partire dal diciottesimo secolo. Secondo Moore, invece, l’essere umano non è il soggetto ma, al pari degli altri elementi naturali, uno degli oggetti del cambiamento geologico, che è operato non da una generica umanità ma dal sistema economico capitalista.

Valpreda non affronta il tema con ricerche storiche, dati economici e ambientali, che pure conosce, ma impiega le osservazioni raccolte, nel corso di quindici anni circa, in diversi luoghi del mondo. Il suo libro ha l’aspetto di un taccuino di viaggio in cui man mano le informazioni vengono raccolte, illustrate e analizzate fino a giungere a formulare la sua tesi. Il metodo di indagine è in parte razionale e in parte empatico perché, secondo Valpreda, un solo approccio non basta. Il racconto, illustrato con brevi testi e disegni di grande forza espressiva e alcune foto, si snoda attraverso le interazioni di tre protagonisti: esseri umani, animali/natura e il denaro.

La prima tappa del suo viaggio è stata la Tanzania. Qui l’equilibrio tra i Masai, popolazione dedita alla pastorizia e i leoni che venivano uccisi solo se aggredivano capre e mucche, venne sconvolto dal colonialismo. Gli europei, dapprima, fecero di quelle terre delle zone di caccia agli animali selvatici. Questo sembrò avvantaggiare i Masai, perché riduceva il numero di leoni, ma quando i colonizzatori decisero di dedicarsi all’agricoltura intensiva, sia gli indigeni che gli animali divennero un ostacolo. I Masai vennero deportati e furono costretti a vivere in zone misere della Tanzania e del Kenya mentre per i leoni venne creata una riserva naturale.

Passato in Scozia, Valpreda parte dall’illustrazione dei rapporti tra contadini poveri, linci e cervi. I contadini coltivavano le terre comuni e le linci mantenevano bassa la popolazione dei cervi che danneggiavano le colture. Con le “Highland Clearences”, gli abitanti furono espulsi e venne favorita loro emigrazione in America e Australia. Le terre furono recintate (enclosures) e passarono ai proprietari terrieri. Questi preferirono allevare pecore che richiedevano meno impiego di manodopera e lasciare aumentare il numero dei cervi per le battute di caccia, molto utili per le loro relazioni sociali.

Silvio Valpreda-Foto dal libro “Antropocene. Appunti da una nuova era-2020

In Norvegia la storia si sposta ai nostri giorni. Si tratta di un paese in cui il 99% dell’energia impiegata proviene da fonti idroelettriche e le auto sono per il 50% elettriche. Secondo Valpreda l’impatto sull’ambiente non è assente, è solo meno visibile. Le dighe sui fiumi impediscono la risalita dei salmoni mentre le batterie delle auto provocherebbero l’inquinamento di alcuni fiumi. Inoltre, la Norvegia è il principale produttore di petrolio dell’Europa Occidentale ma esporta la sua produzione e l’inquinamento connesso al suo impiego.

Nel caldo di Miami, in Florida, i contrasti sociali sono fortissimi e ravvicinati. Dalla casa in cui ha vissuto, posta tra due ecosistemi, Valpreda osserva, da un lato esseri umani benestanti, per i quali i rifiuti sono qualcosa di cui liberarsi mentre poveri e procioni rovistano tra i cassonetti per trovare qualcosa da mangiare.

Giunto al termine dei suoi viaggi, che comprendono anche il Giappone e la piccola isola di Lavezzi, vicina al sud della Corsica, Valpreda osserva che in tutti questi luoghi le modifiche apportate dagli umani all’ambiente non hanno avvantaggiato tutti gli uomini. Una parte di loro è stata impoverita, allontanata, costretta a mendicare mentre le condizioni ambientali sono peggiorate. Ma allora, ne consegue, non sono gli esseri umani la causa dell’impatto geologico, ma una forza diversa, individuata nel denaro, che interviene a modificare ambiente e relazioni umane. Se fossero stati gli esseri umani essi ne avrebbero ricavato un mondo migliore per loro mentre invece, essi stessi ne soffrono le conseguenze. Il problema sta nel denaro e nel suo ruolo modificato, non più mezzo di scambio ma fine a sé stesso.

In conclusione, Valpreda ritiene che il termine “Capitalocene” rappresenti meglio la situazione che stiamo vivendo ma preferisce astenersi da una scelta perché, da artista, ritiene che il suo ruolo sia suscitare dubbi in chi si ritrova in quelle esperienze, piuttosto che dare certezze. Del resto, afferma “le soluzioni sono molteplici, ma tutte contengono una parte sbagliata.”


2 pensieri riguardo “Uomini, natura e denaro nel “Capitalocene” di Silvio Valpreda”

  1. Tema estremamente interessante!
    L’approccio mi ricorda molto Terzani e l’annoso tema dell’eccessivo valore dato ai ‘danari’… ma quanto male genera il bisogno di “potere” che rinforza il degrado umano e ambientale e la conseguente lotta per la ricchezza materiale?
    Se i ricchi della terra continuano ad accumulare, forse sono spinti dal desiderio di non perdere prestigio, influenza e controllo, più che comfort materiale, di cui dispongono in eccesso!
    Non credo il problema sia il capitale, ma il desiderio di potere che l’uomo manifesta anche nello stato di povertà!

  2. Non sopporto più la moda della desinenza in -cene.
    Apprezzo che venga ribadito quello che per me è ovvio da sempre, ma che per molti non lo è: le auto elettriche consumano energia come le altre, solo altrove. E l’energia si produce sempre negli stessi modi…

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