(Tempo di lettura 3 minuti)
Ad aprile del 2019 è nata a Milano una nuova galleria d’arte. Si chiama LUAR, parola portoghese che vuol dire luce lunare, una luce che “illumina” le cose e le persone in maniera diversa da quella del sole. Ad aprirla è stata Maria Beretta, avvocato con uno studio legale ben avviato, perché mi dice: “Ad un certo punto volevo portare bellezza per me e per gli altri e una galleria è un luogo di bellezza”. Maria è giunta alla realizzazione di questo progetto dopo una lunga ricerca non solo fisica ma anche interiore. Nella galleria vorrebbe presentare design d’arredo, gioielli, sculture, fotografia, pittura ma, come vedremo, anche altro.
LUAR si trova alla Bovisa, uno degli ultimi quartieri milanesi con tante tracce del passato anche se, nel corso degli ultimi quaranta anni, è stato interessato da grandi trasformazioni a seguito dell’insediamento del nuovo campus del Politecnico. Arrivando a LUAR si passa accanto al portale d’ingresso degli stabilimenti cinematografici Armenia Films, nati nel 1917 a fianco a quelli della Milano Films, sorti nel 1911. Più avanti, fino al 2001, si trovavano i magazzini del Teatro alla Scala, oggi demoliti. La galleria è collocata all’interno di un’ampia area recintata, in cui convivono molte attività e che era probabilmente sede di uno spedizioniere. Girando tra i capannoni ci si imbatte nello studio e in alcune opere dello scultore Kengiro Azuma, prima allievo di Marino Marini e poi autore di una sua autonoma ricerca che gli portò numerosi riconoscimenti internazionali.
Per comprendere la decisione di aprire LUAR occorre considerare che Maria è buddista. Lo è diventata incuriosita dal racconto di una sua amica che, bloccata in una posizione lavorativa molto frustrante da cui non riusciva a spostarsi, aveva realizzato i suoi tre desideri impossibili: cambiare azienda, cambiare posizione, guadagnare di più, dopo averli espressi nel corso di una riunione buddista a cui aveva partecipato. Invitata a questi incontri, Maria si rende conto che il buddismo è ricerca della felicità, aiutare ogni persona a essere felice e non vuoto idealismo. Per questo motivo, quando è scoppiato il COVID, ha acquistato da un’azienda di Varese duemila mascherine che ha donato ad alcuni comuni, case di riposo e ospedali, pagandole a un prezzo che consentisse anche di poter mettere a disposizione dei dipendenti un premio per il lavoro che stavano svolgendo.
Il suo credo si manifesta anche nella sua visione dell’arte e nel ruolo che affida a LUAR. L’arte può esprimere travaglio interiore o la propria trasformazione ed è questo secondo aspetto che vorrebbe mettere in evidenza. Ma LUAR è innanzitutto qualcosa per lei. “Ho fatto una galleria ma non voglio fare la gallerista”, mi dice. “La galleria è un’oasi in cui voglio andare il sabato e la domenica e poi sempre più spesso perché dopo questi mesi di quarantena mi sono resa conto che posso lavorare in maniera diversa. Questo deve essere un luogo in cui si potrà venire a respirare l’arte, a fruirne fisicamente, sedendosi su una lunga panca di fronte all’opera che sarà esposta.”
Finora la LUAR ha ospitato una sola iniziativa, la mostra “The swimmers art show” dell’artista albanese Alketa Bercaj Delishaj, che si è tenuta dal 24 maggio al 9 giugno dello scorso anno. Ad alcune indecisioni di Maria nel muoversi su un terreno ancora poco noto, si è poi sommato il tempo sospeso della quarantena ma, per l’autunno, ha in preparazione la presentazione dei tanti lavori dello psicanalista Giuseppe Pellizzari che ha fotografato e classificato.
Tra i suoi progetti quello di lanciare un crowdfunding per gli artisti: “Se donare piccole somme per l’arte può aumentare il mio benessere e quello degli altri, perché non farlo? Non si tratta di acquistare un’opera, ma semplicemente di aiutare a far sì che delle opere siano realizzate, perché aumenteranno la bellezza e la consapevolezza del mondo”.
Giusto, perché non farlo? Pensiamoci intensamente, fino in fondo e ci accorgeremo che è vero.