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La Giornata Mondiale degli Oceani si celebra l’8 giugno ed è l’occasione per riflettere sulla loro importanza. Essi coprono il 71% della superficie del globo terrestre, producendo il 50% dell’ossigeno e intercettando il 30% di tutta l’anidride carbonica. Questi benefici sono minacciati dall’aumento della loro temperatura media che non deve superare i 15° e dai rifiuti plastici che creano vere e proprie isole, con conseguenze per pesci e uccelli.
Nonostante siano stati percorsi sin dall’antichità, fino alla prima metà del ventesimo secolo è stato impossibile far giungere fin nelle loro profondità il nostro sguardo. I circa undici chilometri della Fossa delle Marianne, la più profonda depressione oceanica, sono da considerarsi, per quanto riguarda la visibilità, alla pari dello spazio cosmico più profondo, senza però che ad oggi, a differenza che per quest’ultimo, sia stato possibile realizzare un “telescopio” che ci consenta di osservare cosa accada sul fondo del mare.
Il bellissimo libro “Bathygraphica. Disegni e visioni degli abissi marini” di Emanuele Garbin, architetto e docente presso l’Università IUAV di Venezia, che qui ripercorriamo nei passaggi fondamentali, ci racconta come scienza e arte abbiano affrontato l’esplorazione degli abissi, un luogo tanto geografico quanto esistenziale, mescolando continuamente realtà e fantasia. Inoltre, per moltissimo tempo, ben oltre l’invenzione della fotografia, il disegno è stato l’unico mezzo di rappresentare il fondo del mare e il volume ci spiega come grazie al lavoro di una scienziata e di un artista è stato possibile disegnare ciò che non era visibile.
La prima rappresentazione dei fondali oceanici, realizzata da Willem Goeree, nel 1690, è ottenuta mediante lo svuotamento degli oceani. Il globo viene rappresentato senza acque ed esso appare come una mela che sia stata morsa in più punti, in cui le terre emerse si ergono sopra le depressioni dei fondali. Dobbiamo poi attendere l’Ottocento perché gli interessi economici conseguenti alle scoperte scientifiche riaprano l’interesse per queste ricerche. La posa del primo cavo telegrafico atlantico tra l’Irlanda e l’isola di Terranova, nel 1858, fu preceduta da una grande campagna di misurazione, effettuata con l’ausilio di scandagli meccanici, che avevano individuato l’esistenza di un grande plateau a 3200 m di profondità. Ma è solo con l’introduzione dell’ecoscandaglio che è possibile ottenere un profilo continuo bidimensionale di una sezione del fondale marino. Nel 1925 la spedizione Meteor effettuò 67.000 km di misure e poi, negli anni Trenta, le prime immersioni in batisfera da parte di William Beebe, fino a 2500 piedi, aiutarono a migliorare la visione dei fondali.
Ma occorre giungere al 1959 perché sia pubblicato The floors of Oceans, la prima rappresentazione dei fondali dell’Oceano Atlantico, realizzata da Bruce Heezen e Marie Tharp del Lamont Geological Laboratory della Columbia University, che presenta la prima carta fisiografica dei fondali marini con effetto pseudo prospettico e pseudo assonometrico.
Anche se Marie Tharp (1920-2006) viene spesso citata solo come assistente di Heezen, la carta fu materialmente disegnata da lei che, con pennini e china, trasformò i profili dei fondali ottenuti dagli ecoscandagli in visioni tridimensionali, per mezzo di migliaia di linee di maggiore o minore lunghezza e densità che compongono la rappresentazione dei fondali. Eppure, Marie Tharp era riuscita iscriversi all’università del Michigan, dove aveva conseguito un master in Geologia, solo perché la Seconda Guerra Mondiale aveva ridotto il numero di allievi di sesso maschile e non c’erano abbastanza studenti per formare le classi. Assunta al Lamont nel 1948, dopo aver conseguito una seconda laura in matematica, come redattrice (evidentemente non aveva presentato i suoi titoli di studio) non potè salire su una nave oceoanografica fino agli anni Sessanta, dato che fino ad allora l’accesso restò vietato alle donne. Ma con il suo lavoro non solo creò la carta dei fondali ma confermò la teoria della deriva dei continenti, formulata da Alfred Wegener nel 1912, individuando la spaccatura che corre, attraverso gli oceani, attorno alle piattaforme continentali, idea che Heezen aveva definito, in un primo momento, “chiacchiere di ragazza”.
Il suo lavoro fu completato nel 1977, quando fu pubblicata la carta di tutti i fondali marini in collaborazione con Heinrich Berann, un pittore austriaco che aveva già realizzato la rappresentazione delle mappe panoramiche di una serie di massicci montuosi che nessuna fotografia aerea poteva ottenere. Con la pittura di Berann, i fondali marini diventano visibili al grande pubblico realizzando così la terra prosciugata immaginata da Goeree, mentre i colori impiegati per la rappresentazione delle diverse profondità dei fondali, diverranno gli standard della nostra immaginazione.
Con il loro lavoro Marie Tharpe e Heinrich Berann hanno contribuito a creare l’iconografia della cartografia di massa, realizzando immagini realistiche di spazi che, altrimenti, non avrebbero potuto essere concepiti e resi visibili.
Grazie Fabrizio , è un argomento interessante , scoprire l’esistenza di questa scienziata mi riempie di orgoglio in quanto donna, e allargo i miei orizzonti ad altre profondita’
L’attività scientifica è sempre affascinante, non avrei mai immaginato l’importanza del contributo di disegnatori e pittori alla cartografia dei fondali oceanici.
Il tema dell’abisso poi è intrigante.
Grazie Fabrizio per la segnalazione.