Perché continuare a dipingere fiori? L’artista Pep Marchegiani risponde con le sue opere


(Tempo di lettura 4 minuti)
Pep Marchegiani -Epicentre – 2019

La casa dei miei genitori era in una via dedicata al pittore Mario de’ Fiori, pseudonimo di Mario Nuzzi (1603-1673), un artista divenuto famoso per la sua abilità nel dipingere i fiori che, essendo figlio di un floricultore, ebbe  modo di osservare nelle serre paterne e disegnare fin dall’infanzia. Visse e lavorò principalmente a Roma e poi in Toscana dove svolse importanti incarichi per i Barberini e per altre famiglie nobiliari e poi per la collezione di nature morte dei De’ Medici. Il suo nuovo nome comparve per la prima volta nel certificato del suo secondo matrimonio dove appare come” Marius, Pictor Romanus, vulgo Mario de’ Fiori”. Ottenne numerosi riconoscimenti e può essere ritenuto il maestro di generazioni di pittori “fioranti”, italiani e stranieri.

Mario de’ Fiori si ispirò certamente alla pittura fiamminga. La natura morta e la pittura dei fiori, si affermarono, infatti, nel Sedicesimo secolo nei Paesi Bassi. Nel paese riformato, la borghesia commerciale in ascesa richiedeva quadri per adornare le proprie case e celebrare il proprio successo. I fiori e tra questi i tulipani, che erano considerati come una merce su cui speculare, erano tra i soggetti preferiti. Furono i Brueghel, in particolare Jan Brueghel il Vecchio, detto anche Bruegel dei Fiori, figlio di Pieter Bruegel il Vecchio , a distinguersi in questo stile, come presentato anche in una bella mostra svoltasi a Villa Olmo (CO) nel 2012.

I fiori, come soggetto pittorico, rappresentarono uno sviluppo del tema della natura. Nella pittura rinascimentale la natura (viva) è rappresentata dai boschi all’interno dei quali si muovono o su cui si stagliano gli esseri umani. È con lo sviluppo della secolarizzazione che si afferma il soggetto dei fiori, considerati per contrasto natura morta, anche per sottolinearne il carattere inanimato e silenzioso. Nel XVII secolo inoltre, quasi a mitigare il carattere di gioia e vitalità associato ai fiori ad essi vengono accostati i simboli della morte, illustrando così il tema della  Vanitas,  a memento della caducità della vita di cui i fiori sono espressione.

I fiori sono rimasti un soggetto per la pittura anche nei secoli successivi e fino ai nostri giorni, solo per citare Monet con le sue ninfee, gli iris di Van Gogh, i pittori dell’art nouveau, fino ai “Fiori Freschi” di David Hockney realizzati su I-Pad. Ciononostante, aveva destato un certo scalpore, un anno fa, la notizia che Damien Hirst, il più noto pittore inglese vivente, fosse intento a dipingere dei ciliegi in fiore: “Cherry blossom”. Questi dipinti appaiono una sintesi di quanto detto sopra: sui rami scuri di piante di ciliegio è stata collocata un’esplosione di fiori. Hirst, in una lunga intervista concessa al Giornale dell’Arte ad agosto 2019, diceva che all’inizio questo soggetto gli sembrava “pacchiano” e che vedeva anche il “lato funereo della cosa”. In altra parte dell’intervista affermava “Lo sa, i fiori sono ridicoli; voglio che siano percepiti come ridicoli. Voglio che ci si cada dentro e ci si senta sopraffatti da essi.” Sembra quindi che di fronte ai fiori non ci possa liberare della sensazione della Vanitas, dipingerli richiama immediatamente il senso della loro caducità, della loro “pacchianeria”, del loro essere “ridicoli”, perché la loro sfida con la morte sarebbe persa in partenza.

Eppure, continuiamo a dipingere fiori e meravigliato anch’io di quale possa essere il senso di rappresentare qualcosa che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, ho girato la domanda a Pep Marchegiani, nel corso di un incontro che ho avuto con lui questa estate. Marchegiani è un artista che si è accostato da anni ai temi ambientali e che nel 2019 ha partecipato, su invito di Piero Gilardi, alla Preview 2019 Circular Economy & Art, organizzata dal Comune di Torino, con la sua opera “Mangiami”. Negli ultimi periodi ha realizzato grandi quadri con delle calle, un fiore che esprime il simbolo del candore e della purezza e quest’anno ha collocato una calla su una grande installazione affissa su un pilastro di un raccordo autostradale. La sua risposta è stata che i fiori “Sono testimonianza di ciò che ci circonda e che non notiamo. Creano il bello ma lo ignoriamo”. In “Epicentre”, un’altra sua opera del 2019, una calla posta su un lungo stelo di metallo, è collocata di fronte al muso incidentato di una elegante Citroen Pallas, come se la macchina si fosse scontrata con il fiore, il cui stelo ha avuto la stessa resistenza e forza oppositiva di un grande albero contro cui la macchina “è andata a sbattere”. Nella nostra società quindi non sono più i fiori ma la tecnologia e tutti gli oggetti con la loro obsolescenza programmata, su di cui essa si fonda, a rappresentare la caducità delle cose. I fiori possono appassire ma, a differenza delle macchine, rinasceranno spontaneamente, continuando a sottolineare la loro differenza da ciò che non è “naturale” e per questo è giusto continuare a dipingerli.

  • Pep Marchegiani - Epicentre - 2019
  • Pep Marchegiani - Mangiami - 2020
  • Pep Marchegiani - Epicentre - 2019
  • Pep Marchegiani - Epicentre - 2019
  • Pep Marchegiani- Callalily - 2020

Abstract

Why keep painting flowers? Pep Marchegiani’s answer

My parents ‘house was in a street dedicated to the painter Mario de’ Fiori, pseudonym of Mario Nuzzi (1603-1673), an artist who became famous for his skill in painting flowers. He was inspired by Flemish painting, in which flowers were one of the favorite subjects to adorn the houses of the rising commercial bourgeoisie. Flowers have remained an important subject of painting even in the following centuries and up to the present day, just to mention Monet with his water lilies, Van Gogh’s irises, the painters of art nouveau, up to David Hockney’s “Fresh Flowers” made on I-Pad and Damien Hirst’s “Cherry blossom”. But does it still make sense to continue painting flowers? Pep Marchegiani, an artist who has been approaching environmental issues for years, answers with his works.


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