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Allo spazio Made4art in via Ciovasso 17 a Milano, fino all’11 aprile, è possibile visitare la mostra di fotografia Indicibile di Andrea Tirindelli (Cremona, 1961) assieme ad alcuni scatti della sua rassegna precedente, Oltre il visibile della natura, che era stata allestita sempre nello stesso spazio circa due anni fa. Fotografo amatoriale dall’età di 15 anni con una Kodak instamatic, ebbe la possibilità di allestire in casa una camera oscura con cui imparò a padroneggiare tutti i passaggi fotografici e apprese molti segreti del mestiere da Antonio Persico (1903-1998), esponente storico del Gruppo Fotografico Cremonese. Commercialista nel lavoro, con queste due rassegne, Tirindelli si è deciso ad uscire dalla sua dimensione amatoriale, dimostrando di aver maturato una profonda riflessione attorno ai temi della natura e dell’esistenza, che ha felicemente sintetizzato nelle due raccolte di cui vado a parlare.
Le immagini di Oltre il visibile della natura sono state scattate dal 2017 al 2019. Esse consistono di scorci naturalistici in cui, grazie all’ausilio di uno specchio, viene inserita l’immagine di un altro paesaggio che si trova alle spalle dell’osservatore, il quale pertanto si trova immerso in un ambiente naturale che può osservare come se fosse dotato anche di un terzo occhio posto dietro il suo cranio. In Indicibile invece, il soggetto è completamente diverso. Le foto, scattate dal 2018 al 2020, riprendono gli effetti dell’agire del tempo e degli agenti atmosferici su dettagli di superfici urbane: muri, pavimenti, strade. In tutti e due i casi, le foto, scattate in digitale, non subiscono ritocchi ma solamente gli stessi processi che potevano essere svolti in camera oscura, al cui spirito Tirindelli resta fedele.
Il colloquio con l’autore mi ha confermato nell’intuizione di trovarmi di fronte ad una profonda riflessione personale. A proposito della prima rassegna Tirindelli mi ha testualmente detto che essa “nasce da un impulso metafisico di mettere in evidenza ciò che non si vede, per scoprire la fonte metafisica della natura, per mostrare ciò che di ogni cosa, di ogni manifestazione dell’essere, c’è in tutte le altre”. La seconda raccolta, a mio avviso solo apparentemente diversa, “nasce da un moto interiore, da uno stato dell’animo, uno sguardo introspettivo che coglie le immagini esterne per parlare di ciò che è nel proprio animo e che non trova espressione verbale essendo per l’appunto indicibile”.
Il linguaggio usato da Tirindelli mi ha spinto a chiedergli quali fossero le sue fonti di ispirazione, scoprendo in lui un attento lettore delle opere del filosofo Emanuele Severino (Brescia 1929-2020), un pensatore di livello internazionale che si è interrogato sulle domande basilari del pensiero filosofico e quindi su che cosa siano l’Essere e la Realtà. Per sintetizzare in pochissime parole la su concezione possiamo dire che per Severino il pensiero occidentale, a partire da Platone, separa, contrappone “ciò che è sempre e non ha generazione” cioè l’Essere, che pertanto sarebbe vero da “ciò che si genera perennemente e non è mai essere”, e che pertanto come noi umani e tutte le manifestazioni dell’Essere, gli Essenti, sarebbe apparenza, invitandoci a superare questa contrapposizione.
Lo spirito e lo scopo delle foto di Tirindelli sono per l’appunto quello di mostrare questa intima unità dell’Essere. Ciò che è Oltre il visibile della natura, esemplificato da ciò che è alle nostre spalle e che vediamo grazie allo specchio che il fotografo ha posto di fronte a noi, inserito in ciò che stiamo guardando, non è meno vero di ciò che abbiamo davanti a noi, anche se, una volta tolto lo specchio, le immagini scompaiono. Allo stesso modo, le tracce che il tempo lascia sulle superfici dell’altra natura, quella realizzata dall’uomo, ciò che per Tirindelli è Indicibile, sono la manifestazione di ciò che, in un certo senso, è eterno. Esso sono la raffigurazione di qualcosa che pur cambiando continuamente, rispetto alle immagini della natura, quella non antropizzata, che siamo portati a considerare immutabili, non sono meno reali. Tutti gli Essenti sono eterni, “ogni cosa che appartiene al mondo è eterna”.
Ho chiesto a Tirindelli se si consideri un romantico e mi ha risposto che nel senso letterario dello Sturm und Drang di scolastica memoria, si sente tale e che un pittore come William Turner (1775-1851), che ha certamente raffigurato le trasformazioni dell’Essere, la natura immobile ma sempre cangiante, aggiungo io, lo ispira molto.
Ma anche se il romanticismo è il movimento letterario e spirituale che reagiva alla rivoluzione industriale e alle trasformazioni che essa stava apportando nell’ambiente naturale, esso, in un certo senso, ci accompagna ancora adesso, al punto da spingerci a immaginare che ciò che vediamo nelle foto, seppure sia un ritaglio della realtà, si prolunghi ben oltre i suoi margini e che il paesaggio naturale che vediamo possa proseguire all’infinito senza giungere mai alla natura antropizzata. Come sosteneva Georg Simmel (1858-1918) nei suoi Saggi sul paesaggio: “un paesaggio non è natura…Solo l’attività spirituale umana, dell’essere che separa e che collega e che valuta, poteva fare della natura un paesaggio”, solo la nostra progressiva separazione dalla natura ci porta a questa idealizzazione. Eppure, ciò non deve scoraggiarci, i ritagli dell’Essere eterno di Andrea Tirindelli sono un incitamento ad andare avanti nella ricerca dell’unità di tutte le cose.
The clippings of the Eternal Being in the shots by Andrea Tirindelli
At the Made4art in via Ciovasso 17 in Milan, until 11 April, you can visit the photography exhibition Indicibile by Andrea Tirindelli (Cremona, 1961) along with some shots of his previous exhibition, Beyond the visible nature, which was always set up in the same space about two years ago. With these two reviews, Tirindelli has shown that he has developed a deep reflection on the themes of nature and existence, which he has happily synthesized in his two collections. Attentive reader of the works of the philosopher Emanuele Severino with his photos wants to show us the intimate unity of Being
Devo premettere che non ho mai criticato un’opera d’arte, né tantomeno articolato un’analisi da un punto di vista “astratto”: non ho mai “estratto” una narrazione da un’opera d’arte perché mi sono sempre limitato a fruirne l’emozione immediata che non appartiene al logos, al detto.
Guardando la serie di fotografie di Andrea Tirindelli intitolata ‘Indicibile’ mi sono sentito spinto a ‘non dire’ per non essere inevitabilmente separato dalla cosa detta. Indicibile è quell’aggrovigliato fascio di significati che cresce e si complica nel cuore del Destino.
Nel suo pezzo Fabrizio ci informa che Andrea – e non sarà un caso che io di cognome faccia proprio Andreoli, che significa ‘figlio dell’uomo’ – frequenta, in qualche modo non precisato, il pensiero di Severino. Questo è per me un dettaglio molto attraente perchè Severino lo leggo da 45 anni.
Dunque tento una lettura astratta delle fotografie di Tirindelli senza alcuna pretesa di esprimere alcunché di diverso da ciò che io penso oggi: non è legittimo considerare ciò che scrivo un punto di vista di un severiniano ortodosso.
Indicibile, si diceva appena un momento fa.
Nel suo primo recente libro, di scintillante ardore teoretico, Giuseppe Gris ci indica con chiarezza e concisione come lo stesso Severino fosse giunto, nelle ultime sue opere, ai limiti del linguaggio, quasi scarrocciando nel poetico, nel visivo, nell’alluso per immagini. Alcuni suoi attenti lettori condividevano l’impressione che l’ultimo Severino stesse dipingendo, usando la pittura che il linguaggio consente di utilizzare per superare, in un qualche modo indicibile, sé stesso linguaggio.
Nelle fotografie di Andrea si percepisce il silenzio che accompagna il gesto di oltrepassare, di andare al di là del dicibile. Ci sono queste macchie che si rifiutano di essere sé, cioè di essere solamente delle macchie e pretendono di essere anche altro da sé, pretendono infatti di essere dei segnali, degli indicatori, dei convogliatori di emozioni e di stati dell’essere sé dell’osservatore. Pretendono di produrre emozioni senza aver ‘nulla da dire’!
Sono degli essenti a significato multiplo, ciascuno dei quali si presenta all’apparire e scompare alla vista in funzione, quasi esclusiva, delle condizioni metereologiche: se c’è Sole non c’è il ‘senso’ della Notte. Ma tutto avviene nel profondo interiore dell’osservatore dove ritornano quelle macchie ora trasformate in vissuto, solo ora rimembrate, solo ora così esaurite nel loro destino.
Voglio ringraziare Enrico Andreoli per il suo bellissimo commento alle mie fotografie , ricco di significati e di umanità , lo ringrazio in modo particolare per aver contravvenuto al suo uso di non voler mettere in parole le emozioni suscitate dalle immagini artistiche, di non “dire ciò che è indicibile” (già in questo sfidare la contraddizione di “dire l’indicibile” si intravede lo studioso di Severino).
Riconoscere l’Indicibile, per me, è la strada per portare nella luce quanto è già presente ma sconosciuto e, cercarne il senso nell’atto stesso di rappresentarlo. In qualche modo è forse il decifrare, nella dimensione individuale, l’aggrovigliato fascio che cresce e si complica nel cuore del Destino.
Nelle mie fotografie, le Immagini ritrovate e riconosciute sui muri delle città vanno alla ricerca del linguaggio e del pensiero che possa esprimerne il senso nascosto nel profondo, è un’avventura nell’interiorità dove presente e passato si inseguono e si sovrappongono; il mio auspicio e’ che ciò possa accadere al fotografo ed all’osservatore.
E’ molto suggestiva e poetica la lettura di Enrico dei segni sui muri come essenti dal significato multiplo che entrano ed escono dall’apparire in funzione del ruotare dei pianeti, mi fa pensare all’impossibile, che nel mondo interiore diventa possibile, di un Sole che illumina la Notte .
Severino soleva dire che in ogni uomo c’è un Re e un Mendicante, il primo è l’abitatore degli eterni ed il secondo di questa terra. Provando, a mia volta, ad interpretare questi miei ultimi due lavori fotografici attraverso la metafora di Severino, si potrebbe forse dire che nel primo (gli specchi di Oltre il visibile della natura) c’è la tensione verso quell’irraggiungibile Re e nel secondo (Indicibile) lo sforzo di ogni Mendicante – di ognuno di noi – di abbracciare la pienezza della propria vita.
Ho scoperto per caso Severino circa vent’anni guardando una trasmissione televisiva di cui era ospite. Ricordo bene di non aver afferrato cosa stesse dicendo rimanendone al tempo stesso folgorato, mi colpii un senso di forza e di verità che la sua persona esprimeva.
Cominciai subito a leggerlo ed ascoltarlo nei suoi convegni tutte le volte che potevo, ritrovando ogni volta quello stesso splendore in cui il linguaggio, il pensiero e la voce si univano in una sola forma maestosa fatta di potenza, profondità e proporzione. Che Severino nella sua parte finale della vita sia approdato al poetico ed all’alluso delle immagini – cosa che non sapevo – sembra in qualche modo la rappresentazione dello sciogliersi e trasformarsi dello splendore del suo pensiero nelle immagini e nelle forme che già ne intessevano la struttura.