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Alla Nuova Galleria Morone di Milano, Enrico Minguzzi (Cotignola-1981) con la mostra Fluoritura, riporta in auge il genere artistico della natura morta, in voga in Europa nel Sei-Settecento e che ha avuto come ultimo grande rappresentante italiano Giorgio Morandi. Lo fa in forme nuove, anche se classicheggianti: nuovi sono gli oggetti “naturali” che dispone al centro della scena su alzatine o vasi appoggiati su un piano, nuovo il colore predominante, un grigio in varie tonalità, nuovo anche il legame tra l’oggetto dipinto e la natura da cui proviene che troviamo raffigurata in alcuni quadri esposti.
Enrico Minguzzi è un paesaggista che si è sempre dedicato alla rappresentazione di parti del suo territorio, la bassa pianura dei lidi ravennati che attraverso la laguna arriva al mare Adriatico, sotto il delta del fiume Po, trasfigurandone i ricordi attraverso la sua immaginazione. I suoi paesaggi descrivono complesse atmosfere turneriane in cui gli elementi acqua, aria, terra e fuoco, sono resi impiegando colori scuri ravvivati da macchie di colore fluorescente, che potrebbero essere bacche, fiori, lucciole ma anche gas incandescenti, scintille di un fuoco che cova nella sterpaglia. Da questi, egli ha tratto gli elementi delle sue nature morte, che sembrano piante e fiori di una specie indefinita anche se simili ad altri a noi noti, ma d’altronde le specie vegetali sono così tante che chi può pretendere di conoscerle tutte? Il legame con i paesaggi è strettissimo e anche i colori sono lì a stabilirne la provenienza.
L’ispirazione gli proviene dai luoghi in cui vive. Nato a Cotignola ha abitato per un lungo periodo ad Alfonsine e dopo l’accademia a Bologna, in cui è stato allievo di Davide Benati e un periodo di lavoro a Milano, si è trasferito a Bagnacavallo dove vive e lavora. Questa antica zona di lagune e paludi, per la maggior parte bonificate e che resistono soltanto nei pressi della costa, in cui la distanza tra la terra, l’acqua e il cielo è minima e il tempo è rallentato, era addirittura sede di un porto fluviale. Ci sono dei luoghi preferiti dove si reca a passeggiare e a trarre ispirazione: Pialassa della Baiona e Punta Alberete, da cui assorbe le immagini e i ricordi che poi subiscono un processo di sedimentazione e di trasformazione e da cui emergono poi in studio, poiché non dipinge mai en plein air, i suoi paesaggi veri ma irreali, contaminati con luminescenze.
Minguzzi mi racconta di aver usato per la prima volta questi colori nel corso di una residenza d’artista, dedicata alla pittura all’aria aperta, dove prepara le tele con delle basi fluorescenti, in modo da creare per la prima volta il connubio con gli elementi naturali del paesaggio. Di fronte a una sfida che mette alla prova la sua capacità e la sua immaginazione ricorre cioè ad un artificio, all’introduzione di un “mezzo artificiale – come dice Gillo Dorfles nel suo libro Artificio e Natura – necessario a creare l’opera d’arte a rischio di deformare natura e realtà”. Tema complesso questo perché l’arte, anche quando ha preteso di rappresentare nel modo più fedele la realtà e quindi la natura, è stata ed è artificio, perché ha piegato quest’ultima alle necessità e alla visione dell’artista anche se, dice ancora Dorfles, mentre “l’arte figurativa riproduceva e si ispirava a fenomeni naturali; l’artista imitava la natura e in genere l’opera artistica costituiva un prodotto naturale al pari di quello artigianale”. Secondo Minguzzi, nonostante la progressiva artificializzazione della natura dovuta all’incessante azione umana, richiamare l’attenzione su quella in cui siamo ancora immersi, può avvenire solo se introduciamo qualcosa di artificiale.
Il comunicato di presentazione della mostra insiste molto sul confine tra immaginazione e realtà in cui si collocherebbero le opere del nostro e sulla relatività di questi due stadi dell’esistenza che autorizzerebbe l’artista a realizzare una qualsivoglia rappresentazione del mondo. A tale proposito ritengo che ciò sia un dato ormai acquisito, proprio perché non esiste una naturalità delle percezioni e quindi l’arte e l’artista creano sempre un mondo immaginario e in particolare è la nostra percezione del reale ad essere sempre contestualizzata. Una corteccia di albero ad esempio, ingrandita cento volte, potrebbe apparirci come un territorio solcato da valli e monti, per cui ritengo più appropriato insistere sull’artificiosità, da non intendere però in senso negativo.
Parti del mondo “naturale” si trasformano ora in nature morte. Estrapolate dall’ambiente divengono oggetti a sé stanti. Anche in questo caso, è una nuova sfida/opportunità ad averlo stimolato. L’occasione è rappresentata dalla richiesta rivolta dal Museo Luigi Varoli di Cotignola, a lui ed alcuni altri artisti, di realizzare un inventario figurato delle opere dell’attività di questo singolare artista: “Disegnatore, pittore, scultore, musicista, maestro per adulti e bambini, conservatore e collezionista, raccoglitore di piccole mirabilia e chincaglierie, uomo Giusto”. La richiesta fa nascere in Minguzzi l’intuizione di riportare questi oggetti di vario tipo: un teschio di animale, delle ossa di bacino, un uovo di struzzo, alla loro veste di natura morta, collocandole in un’opera che conferisce loro l’importanza attribuita dalla classicità del contesto.
Questa esperienza innesca un’ulteriore evoluzione nel suo percorso pittorico di cui possiamo vedere il risultato nella mostra milanese. Come Varoli traeva gli oggetti fisici dal territorio, Minguzzi li estrae dai suoi paesaggi artistici, isolando queste forme minerali e vegetali dal loro contesto e facendone delle nature morte. In tal modo le sottolinea, dà loro importanza, le rende classiche, le impreziosisce con gli inserti fluorescenti, creando un nuovo mondo di oggetti e percezioni che mi fanno concludere che la sua sfida può dirsi vinta.
Abstract
At the New Morone Gallery in Milan, Enrico Minguzzi (Cotignola-1981) with the exhibition Fluoritura, brings back in vogue the artistic genre of still life, in vogue in Europe in the seventeenth-eighteenth century and which had as last great Italian representative Giorgio Morandi. He does it in new forms, even if classical: new are the “natural” objects that he places at the center of the scene on cake stand or vases resting on a plane, new the predominant color, a grey in various shades, also new is the link between the painted object and the nature from which it comes that we find depicted in some paintings on display.
Artista molto interessante , opere che mi sembrano accomunate da una specie di esplosione immobile, di colori aria terra pietra che trasmettono una grande energia.
STRAORDINARIO,
una specie di J.W.D .Turner del terzo millennio.Ho già avuto il modo di apprezzare una,sua opera in una rassegna-collettiva nel 2021 o prima sempre a Bagnacavallo.