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Mi sono imbattuto per la prima volta in Cesare Viel (Chivasso – 1964) nel 2019, in occasione della sua mostra “Scrivere il giardino” alla galleria Pinksummer di Genova, dove ero stato attratto dal titolo. Avevo iniziato questo blog da pochi mesi e immaginavo che potesse essere trattarsi di qualcosa che riguardava il rapporto tra ambiente e arte e in effetti era così ma non nel senso che immaginavo. All’ingresso mi fecero togliere le scarpe, il pavimento era stato dipinto di verde e delle strisce bianche, come dei vialetti, delimitavano zone all’interno delle quali erano delle frasi in caratteri minuscoli, ma ben leggibili, che appunto “scrivevano” o “descrivevano il giardino”. Non approfondii molto e rimpiangevo di aver perso la mostra che Viel aveva tenuto al PAC di Milano l’anno prima, nel corso della quale aveva anche realizzato una performance intitolata Il giardino di mio padre, che certamente mi avrebbe dato elementi per capire quello che stavo vedendo a Genova, ma mi muovevo nella direzione sbagliata, guardavo il giardino e non la scrittura.
Quest’anno, fino al 12 marzo, Cesare Viel presenta alla galleria Milano, una delle storiche della città, i cui locali valgono da soli una visita, condividere frasi in un campo allargato. Tra la fine del 2020 e la fine del 2021, l’artista ha invitato amici e colleghi a scrivere una frase per loro significativa e a condividerla con lui che le ha trascritte a mano su singoli fogli che sono stati disposti nelle due grandi sale della galleria e che possono essere osservati percorrendo una passerella rialzata. L’effetto è quello di trovarsi ad osservare un paesaggio in cui le frasi sono man mano meno visibili mentre ci si sposta verso l’orizzonte rappresentato dalle pareti di fondo delle sale.
Il comunicato stampa ci suggerisce che questo paesaggio di frasi è da intendersi come un campo allargato nell’accezione di Rosalind Krauss (Washington -1941), critica e docente d’arte americana che nel 1979 aveva pubblicato sulla rivista October, l’articolo Sculpture in the Expanded Field. In estrema sintesi, la riflessione della Kraus partiva dalla constatazione che, nei dieci anni precedenti, un sempre più ampio numero di cose, sempre più lontane dai monumenti in cui una figura era posta su un basamento, erano state considerate sculture, al punto che ormai la scultura era entrata in una specie di terra di nessuno definendosi come né architettura né paesaggio. Il campo allargato era l’ambito, il concetto, la visione in cui questa evoluzione della scultura poteva essere racchiusa e in cui potevano essere compresi artisti come Robert Smithson, Robert Morris, Carl Andre, Walter De Maria e altri.
Ma poiché la Krauss parlava di scultura, possiamo considerare l’attività di Cesare Viel all’interno di questo campo allargato della scultura, cioè considerare queste rappresentazioni bidimensionali, le parole scritte su fogli o sul pavimento come a Genova, come qualcosa che va a occupare lo spazio, a definirne i contorni?
Molti artisti occidentali hanno impiegato la scrittura facendole assumere la forma dell’oggetto che voleva rappresentare o dando ad essa forma artistica come ad esempio: Apollinaire con i suoi calligrammi o come i futuristi con le parole in libertà o infine Paul Klee con gli pseudo-grafemi e poi Alighiero Boetti. Ma tutti questi cercavano di trasformare la scrittura, il testo, le parole in qualcosa d’altro mentre l’uso che ne fa Viel è completamente diverso. Le parole sono scritte in maniera piana, con un carattere semplice e chiaro, quasi infantile e non cercano di rappresentare altro. L’artista ha del resto enunciato chiaramente che il suo interesse si distribuisce su tre assi: realtà, linguaggio, spazio, impiegando materiali fragili come la carta o il corpo, anch’esso fragile, come sappiamo.
Un suggerimento per interpretare il lavoro di Cesare Viel ci viene da un bel saggio del critico Riccardo Venturi dedicato a Carl Andre (Quincy – 1935): Tabulare. Scultura e scrittura in Carl Andre, apparso su Doppiozero del 7 maggio 2015. Venturi riferisce della mostra collettiva inaugurata alla Dwan Gallery di Los Angeles, nell’estate 1967 che si apriva con un chiasmo tra leggere e vedere: Language to Be Looked At and/or Things to Be Read. Linguaggio da vedere, cose da leggere. Secondo Venturi, il linguaggio non è qualcosa che si scrive ma qualcosa che si costruisce. Le parole sono il materiale dell’architettura linguistica, da assemblare come mattoncini della Lego. Il parallelo tra Viel e Andre potrebbe essere rintracciato nella definizione che quest’ultimo dà della Scultura come spazio (Sculture as place) e non scultura nello spazio o dal fatto che molte sue opere erano bidimensionali e poste sul pavimento dove potevano essere calpestate. Un altro accostamento di cui vorrei tenere conto è quello con la scultrice afroamericana Barbara Chase Riboud quando afferma “Scrittura o scultura, è sempre memoria”.
L’esercizio di Viel è misto. Certo le frasi, le parole si leggono e non c’è nessuna voce fuori campo a leggerle per noi. Assieme ai fogli scritti di fronte a noi e che certo sono un paesaggio, forse marino, le frasi possono suscitare in noi immagini che a questo punto si ergono dal foglio da cui hanno tratto origine. La stanza si riempie di queste immagini, lo spazio diviene scultura. In questo modo la scrittura perde la sua caratteristica bidimensionale. Dopo aver guardato in basso i nostri occhi si alzano perché adesso l’oggetto, il concetto, la materializzazione della frase, sta di fronte a loro.
Writing as a sculpture by Cesare Viel
Until March 12, Cesare Viel presents at Galleria Milano, one of the city’s historic galleries, sharing sentences in an enlarged field. Between the end of 2020 and the end of 2021, the artist invited friends and colleagues to write a meaningful sentence for them and to share it with him who transcribed them by hand on individual sheets that were arranged in the two large halls of the gallery and that can be observed along a raised walkway. Can we consider the writing of these sentences within the expanded field of sculpture? That is, consider these two-dimensional representations, the words written on sheets placed on the floor as something that takes up the space, defining the contours?