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Noto (SR), capitale del Barocco divenuta Patrimonio dell’Unesco, è stata definita dallo storico dell’arte Cesare Brandi (1906-1988) Giardino di Pietra, per la ricchezza dei decori dei propri palazzi. Appare pertanto non casuale che proprio qui, nella splendida cornice del piano nobile del palazzo Trigona di Cannicarao, riaperto per l’occasione dopo oltre quarant’anni di chiusura, sia stata presentata e resterà visibile fino al 15 settembre, a completamento della vegetazione lapidea della città, la mostra Gardens di Marco Eusepi (Anzio 1991), che accoglie opere recenti o realizzate appositamente, i cui motivi vegetali si stagliano sulle pareti spoglie del palazzo e che, trovandomi nella località siciliana, ho avuto la fortuna di visitare.
Eusepi, nonostante la giovane età e l’apparente semplicità dei temi che tratta, è portatore di una riflessione complessa sulla pittura come mezzo e tecnica oltre che sulla natura come soggetto della ricerca sulla condizione umana. Cresciuto in campagna, inizia a disegnare intorno agli otto anni, riproducendo le immagini contenute nelle pubblicazioni artistiche, allegate ad una raccolta di tazzine, acquistate in edicola dalla madre. Persegue poi un accumulo di esperienze e sperimentazioni in vari ambiti, scolastici e non, come la ceramica durante il ciclo di formazione primaria, l’oreficeria in cui si è diplomato nel locale istituto statale d’arte, il diploma triennale in pittura e la specializzazione in grafica d’arte all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove ha studiato tra l’altro con Giuseppe Modica e Gabriele Simongini e poi la pittura su carta all’Istituto di Cultura Coreano a Roma.
La natura gli appare prima come ricordo e riconoscimento della pittura e poi come soggetto della stessa nel corso dei suoi viaggi quotidiani in treno tra Anzio e Roma e ritorno. Nel rallentamento del tempo che l’intero processo del trasferimento da una località all’altra provocava e nel gioco della memoria che si innescava, il panorama che si scagliava contro la sua vista, diveniva pretesto per occuparsene. Le macchie colorate della vegetazione che si percepivano nella parte bassa del finestrino del treno erano occasione di contatto con la realtà circostante e di lavoro sulla pittura attraverso il paesaggio. Il soggetto vegetale è ad oggi il suo soggetto esclusivo per la libertà che fornisce al mezzo pittorico. Mentre la rappresentazione del corpo umano è legata allo studio e alle regole per la sua rappresentazione, i fiori sono solidi colorati nello spazio e quindi, sia a livello micro che macro, sia in un dettaglio che nella loro interezza, sia singolarmente che come elementi di un paesaggio, soggetti ideali di ogni sperimentazione pittorica che procede per colore, materia e superficie. Paradossalmente, del resto, l’elemento vegetale, più di quello umano, è metafora per la sua caducità della condizione della nostra esistenza.
Eusepi però si affretta a dichiarare che la sua pittura non vuole dire niente, non serve per dire altro, perché ha una proprietà intrinseca nell’ambito di una indagine su sé stessa. È un tributo al mezzo per indagare che essa procede per addizione e sottrazione, per prova ed errore, oscillando tra derive e approdi, tra urgenza della realizzazione e caparbietà per raggiungere il risultato. “Non mi interessa la riconoscibilità”, mi dice citando il De Kooning de lo stile è un inganno, né la novità, quanto piuttosto “l’originarietà”, quasi un procedere accademico nella pittura, un ripercorrere i passi della tecnica, perché bisogna fare attenzione “a non praticare linguaggi che non si possiedono”, come ripete agli studenti dell’Accademia che oggi assiste come tecnico di laboratorio.
Le coppie dicotomiche attraverso cui la pittura di Eusepi si definisce coinvolgono anche le dimensioni. Se il piccolo formato è privilegiato perché consente di poter fissare sensazioni e ricordi con la stessa “sregolata velocità con la quale percorrono, nel quotidiano, lo sguardo e il cuore dell’artista”, la stessa quasi con cui procedono le immagini viste dal treno, come scrive Pier Paolo Pancotto nel commento critico alla mostra, a Noto sono i grandi formati, molti dei quali realizzati per l’occasione, a occupare gli ampi spazi del Palazzo Trigona, dimensioni che richiedono all’artista un vero e proprio corpo a corpo con la tela, e in cui è fondamentale mantenere “l’intuizione” che sta alla base dell’opera, chiudendola abbastanza velocemente. Qui s’intravvede una problematicità che accompagna l’esperienza pittorica e che anche per Eusepi credo evolverà nel corso della sua carriera, nell’oscillazione tra la velocità per cogliere l’attimo e il tempo necessario perché essa si trasformi in rappresentazione perché, come egli stesso, da ammiratore di Vermeer, ha ammesso in una sua intervista: “la pittura è esperienza che si addensa” e la pittura ha un suo tempo. Del resto, l’addizione e sottrazione di materia è energia che si accumula sulla tela e che resta nella esperienza e nella crescita di ogni artista.
In questa oscillazione si colloca anche l’accostamento della sua pittura alla poesia. Come in questa, l’ordinario diviene straordinario che rimane in sospensione, attimo colto. Eppure, anche ciò che i versi fotografano, a volte in pochissime righe, come in quelli di Sandro Penna (1906-1977), uno dei suoi preferiti, possono essere il risultato di un lavorio di limatura, di sostituzione, di ricerca. Paradossalmente è l’esperienza e non la giovinezza che può portare alla unicità dell’intuizione e alla rapidità del gesto per raffigurare l’idea.
Marco Eusepi ci riporta quindi alla riflessione sulla pittura, come arte in sé, e sull’artista che, accademicamente, deve confrontarsi con il processo, con la tecnica, prima che con il risultato ma nel frattempo ci offre i frutti del suo lavoro, profili di fiori e di alberi che si stagliano sul vuoto della tela, paesaggi che ci corrono incontro e che colpiscono la nostra retina, campi fioriti contro l’azzurro del cielo. Nella visita alla mostra e nella lunga chiacchierata che ho avuto con lui ho ripercorso esperienze simili anche se fatte quasi quarant’anni prima, vista la differenza di età. I fiori del giardino di casa, la vigna di mio nonno, memorie di infanzia, gesti e luoghi vegetali che riaffiorano nella memoria perché l’arte ci consente di avere ricordi simili anche se non ci conosciamo.
The Gardens of Marco Eusepi on show in Noto
In Noto (SR), the Baroque capital that has become a UNESCO World Heritage Site, in the splendid setting of the noble floor of the Trigona from Cannicarao palace, reopened for the occasion after more than forty years of closure, you can visit until 15 September, the exhibition Gardens by Marco Eusepi (Anzio 1991). Profiles of flowers and trees that stand out on the void of the canvas, landscapes that run towards us and that strike our retina, flowered fields against the blue sky but also opportunity for reflection on painting as art and on the artist who, academically, he has to confront the process, the technique, before the result.