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L’artista argentina Ana Hillar (Santa Fe, 1970) presenta fino al 7 ottobre, alla Tempesta Art Gallery di Milano, la sua mostra Tummo dedicata al respiro (Tummo è il nome di una tecnica di respirazione praticata dai monaci buddisti per sopravvivere in condizioni estreme), attività involontaria, principio alla base della nostra vita e di quella di tutti gli altri esseri viventi. Sulla parete di fondo della galleria campeggia la riproduzione del nostro apparato respiratorio realizzato mediante un reticolo di cannule di gres collegate tra di loro a rappresentare i bronchi. Sulla parete laterale sinistra, invece, due sculture rappresentano gli alveoli polmonari. Al centro sala, dei grandi vasi appoggiati a terra aprono le loro bocche, all’interno delle quali una serie di filamenti esprimono l’energia della natura e dei corpi dei viventi e infine, sulla destra entrando dei rametti in terraglia formano un grande nido.
Ana Hillar, vive dal 1999 a Faenza, dove era arrivata per studiare tecniche di restauro da applicare alle ceramiche precolombiane del proprio paese e dove ha trovato le condizioni ideali per la propria arte, aggiudicandosi, nel 2001, il Premio Faenza con la sua opera Sombra del Viento (L’ombra del vento) e svolgendo l’attività di restauratrice di beni artistici. Di lontane origini italiane, nonno paterno con famiglia piemontese in Argentina da due generazioni e nonni materni italiani, nasce in una famiglia di genitori musicisti, entrambi cantanti e anche lei i suoi fratelli studieranno musica. Per lei, però, saranno l’esempio del nonno paterno che disegnava e della madre con l’hobby per la ceramica a divenire prevalenti nella sua vocazione, che sarà incoraggiata anche dalla frequenza di un liceo umanistico che, seppur ancora negli anni della dittatura, anticipava la libertà di scelta che perfezionerà poi nell’Accademia di Belle Arti J. Mantovani di Santa Fe, dove studierà scultura e ceramica.
La ricerca di Ana Hillar si innesta sulle tradizioni precolombiane delle varie zone del nord dell’Argentina distrutte dalla colonizzazione spagnola, a cui si sovrappone una ceramica coloniale a sua volta contenente influenze arabe che evolve poi, ai nostri giorni, in una ceramica molto eclettica che spazia dal recupero della tradizione all’abbraccio di influenze estere che si traducono per Lei in un rapporto privilegiato con l’arte povera italiana e con il lavoro ceramico di Nanni Valentini (1932-1985), cosa che le consente di dire: “Quando mi guardo indietro riconosco che immergersi in Italia mi ha modellato ma non ha cancellato la mia origine arcaica”.
Corpo umano, respiro, terra, natura sono gli elementi posti in relazione nella mostra. Ana Hillar porta la sua ceramica lontana da qualsiasi forma utilitaristica nella difficile sfida di rappresentare la relazione tra gli elementi umani e naturali, al punto che mi dice: “Il movente non è mai una forma ma un ascolto che assume una forma”. Tuttavia, se la ceramica contiene in sé i quattro elementi naturali: terra, acqua, aria, fuoco, questi non bastano a farne un’arte e a rappresentare la relazione con l’umano.
Per fare ciò, secondo la Hillar, è necessario un lavoro di introspezione, di ascolto, inteso non come semplice attivazione dell’apparato uditivo, ma come disponibilità ad andare oltre quello che si può osservare sulla superficie della terra o l’epidermide degli esseri umani e che, in entrambi i casi, mette in evidenza la parte selvaggia, l’energia nascosta, fisica e psichica, della natura. I manufatti disposti sul pavimento della galleria sono da un lato rappresentazione di una forma vulcanica da cui prorompe l’energia della Terra ma anche condotto uditivo che rappresenta l’ascolto. Quando ci avviciniamo alla loro bocca, attratti inevitabilmente a guardare al loro interno, scopriamo che essi sono ripieni di centinaia di aculei, tentacoli, ciglia che sono lì a rappresentare il mondo nascosto ribollente che però non è facile da conoscere, sia perché essi ci impediscono di andare oltre con lo sguardo, sia perché respingono il desiderio di introdurvi una mano per saggiare cosa ci potrebbe accadere. Queste forme sono cioè metafora della nostra volontà/necessità di andare oltre l’apparenza e di ascoltare ma anche della difficoltà e delle insidie che si corrono calandosi in quel micromondo.
Se il Nido collocato a destra ci ricorda anche l’albero su cui è collocato e quindi un ulteriore elemento naturale simbolo della vita che fluisce al suo interno, esso stesso è però simbolo della vita che si sviluppa con il conforto del suo calore e la protezione dalle intemperie, vita che però è di nuovo unione di visibile e invisibile, di razionale e istintivo, di manifesto e occulto. E la forma stessa di questo nido è simile a quella dei vasi, allungata, profonda, senza che sia possibile sapere se si resterà in alto o si scenderà in basso.
E così giungiamo alla raffigurazione delle parti del corpo che ci consentono di respirare e secondo Lei di entrare in sintonia, in empatia con gli altri elementi naturali, con le sfaccettature non visibili della realtà. Imparando a respirare e a sentire fluire in noi l’aria che entra e che esce, il ciclo vitale di vita e morte, trasformando in consapevole un atto inconsapevole, possiamo renderci conto del suo valore. “Respira!” è il comando che ci inviamo quando siamo bloccati dalla paura, dall’ira, dall’angoscia. “Respira!”, riacquista il controllo di te, torna ad essere cosciente e consapevole, rimetti insieme i pezzi del tuo essere.
Così la ceramica di Ana Hillar, disciplina considerata povera tra le arti, che si vorrebbe separata dalla scultura e che, anche quando statuaria, si vorrebbe ridotta a tecnica, si fa logos, dialogo, unendo ciò che la nostra vita tende incessantemente a dividere, a separare, in nome di un principio di efficienza che deve standardizzare non solo le macchine e i processi ma anche noi umani, ed in cui l’ascolto del respiro è la nostra possibilità di salvezza.
Ana Hillar listens to the breath
The Argentine artist Ana Hillar (Santa Fe, 1970) presents until October 7, at the Tempesta Art Gallery in Milan, her exhibition Tummo dedicated to breathing (Tummo is the name of a technique of meditation and breathing practiced by Buddhist monks to survive in extreme conditions) as a hinge between human beings and the outside world. In this difficult challenge Ana Hillar poses as a means of her research the practice of listening because: “The motive is never a form but a listening that takes on a form”.
Grazie Fabrizio, mi sono ritrovata in tutto nelle tue parole che così bene riescono a spiegare il senso del mio lavoro. Complimenti ancora per La città Vegetale!