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Pietro Ruffo (Roma-1978) mi confida che le carte geografiche provocano in noi la sensazione di poter abbracciare e contemplare uno spazio e un tempo enormi senza soffrire, portandoci ad uno stato divino, cioè senza nessuna delle preoccupazioni legate alla situazione della natura o della società a cui noi invece soggiacciamo nella nostra vita, con la comodità di uno studioso e non l’angoscia di chi ha vissuto delle esperienze terrene. Forse è per questo che lui le ha scelte come mezzo di espressione della sua attività artistica, concentrata attorno alla rappresentazione dei grandi drammi che l’umanità si trova ad affrontare. Il tema principale con cui si confronta fin dall’inizio della sua carriera è quello della libertà, su cui ha a lungo riflettuto, adottando il punto di vista del filosofo Isaiah Berlin ( Riga-1909- Oxford-1997). Artista dotato di grandi capacità di artigiano e di disegnatore, sa creare bellezza ed ha al suo attivo anche una lunga collaborazione con la Maison Dior dove è stato chiamato dalla sua direttrice creativa Maria Grazia Chiuri. Il 14 marzo la Galleria Lorcan O’Neill ha inaugurato a Roma la sua personale, Il giardino planetario.
Ruffo respira l’arte in famiglia grazie al nonno materno Francesco Del Drago (1920-2011), pittore geometrico astratto, con cui vive a stretto contatto e di cui cerca di seguire le orme per un breve periodo e alla madre costumista, mentre deve al padre la passione per l’architettura e per la storia. Anche se le sue prime opere artistiche precedono i suoi studi di architettura è a questa disciplina che deve il metodo e gli strumenti di lavoro che impiegherà successivamente: l’utilizzo della carta, l’impiego di mappe e cartografie, l’indagine sociologica e urbanistica dei luoghi ma anche la capacità di saper allestire scenografie, il rigore del disegno, la conoscenza degli stili.
L’osservazione degli avvenimenti a lui contemporanei: i massacri del 1997 in Algeria, la fine dell’apartheid in Sudafrica, il massacro di Beslan e la Primavera Araba, lo spingono a riflettere sul tema della libertà e a imbattersi nei Due concetti di libertà di Isaiah Berlin: quella negativa come rimozione dei limiti della libertà, tipica dell’occidente e quella positiva come tentativo di costruzione della libertà per tutti che porterà ai regimi totalitari. La ricerca della libertà si muove infatti lungo un paradosso, prima di una rivoluzione gli esseri umani hanno un’unica idea di libertà che consiste nell’abbattimento del tiranno, un’idea forte attorno a cui si coalizzano tutti ma successivamente, quando si tratta di costruire una nuova società in cui sia garantita la libertà di tutti e si deve incanalare l’enorme energia scaturita nel periodo precedente, spesso si scatenano lotte tra i partecipanti. Ruffo potrà approfondire la riflessione attorno a questi concetti grazie a una borsa di studio che lo porterà a trascorrere un semestre alla Columbia University dove incontrerà numerosi filosofi liberali e constaterà la profonda differenza della loro visione, realizzando delle opere attorno a questo tema, come I sei traditori della libertà, dedicata alle sei lezioni che Berlin tenne alla BBC nel 1956, oppure Atlas of the various freedom, in cui compaiono i quaranta interlocutori con cui ha discusso di questo tema. L’aporia che si crea attorno al tema filosofico della libertà lo porterà poi a preferire la visione del poeta e artista libanese Khalil Gibran, come espressa nella sua poesia Sulla Libertà contenuta nel libro Il Profeta del 1923, che invita ad abbattere nella propria mente i despoti che abbiamo contribuito a creare, riflessione attorno a cui costruisce l’opera The liberty house nel 2011.
Il pensiero di Ruffo, che si svolge pacatamente attorno a queste tematiche, si avvale di una tecnica di lavoro che si muove con la stessa pazienza, mediante un disegno lento a penna biro blu, strumento prescelto perché mi dice “di uso quotidiano e democratico, che gli consente di astrarsi dal discorso del colore e infine perché indelebile, con un gesto diretto che esprime, quindi, una certa verità”. Altri artisti, come ad esempio Alighiero Boetti, hanno impiegato la biro ma Ruffo provvede a farne un uso esclusivo (con Boetti esiste un altro punto di contatto attorno alle mappe geografiche che però per questo hanno occupato solo una parte della sua produzione). La sua tecnica è legata anche a una modalità di lavoro quasi impiegatizia, con orari di lavoro molto lunghi nel suo studio all’ex Pastificio Cerere e un segno paziente, metodico che segue i ritmi del suo pensiero, che non mira a fornire una soluzione, che non è nelle corde dell’artista, ma alla rappresentazione del problema nel passaggio dal tema etico alla sua rappresentazione estetica come in Arab Spring e South Africa, entrambi del 2012-2013, la serie degli Atlas del 2014-2015 e Migrazioni del 2016.
Una svolta importante per Ruffo giunge nel 2014 quando la sua installazione Spad SVII, raffigurante un caccia francese della Prima guerra mondiale, viene notata da Maria Grazia Chiuri, allora direttrice creativa della casa Valentino, che gli chiederà di progettare e realizzare la scenografia per la sfilata Mirabilia-Romae tra Piazza di Spagna e Piazza Mignanelli del 2015. Una volta passata a ricoprire lo stesso incarico per la Maison Dior, casa fortemente legata ai temi del viaggio, la Chiuri lo incaricherà dapprima di realizzare gli elementi per la presentazione della Haute Couture Fall-Winter 2017-2018 svoltasi all’Hotel National des Invalides di Parigi e successivamente, nel periodo del lockdown, i disegni dei temi floreali per la Cruise 2021 dedicata alla Puglia e poi quelli della Capsule Dior Around the World del 2020. Una collaborazione duratura, espressione del ruolo sempre più importante che le grandi case di moda possono avere come nuovi mecenate dell’arte.
Con la sua ultima mostra, Il giardino planetario, il cui titolo si ispira ai concetti del paesaggista Gilles Clément, in corso a Roma alla galleria Lorcan O’Neill, Ruffo torna alla riflessione attorno al tema molto discusso dell’Antropocene, in maniera scevra da pregiudizi, a partire dalla domanda se l’impatto umano sia stato tale da poter definire un’era geologica pur non essendo ancora chiaro quale periodo di tempo debba essere preso in considerazione. Nelle opere esposte, su delle carte geografiche si aprono degli squarci che lasciano vedere delle vedute di edifici di Roma e paesaggi, esprimendo così il contrasto tra l’attività umana che può portare alla distruzione del patrimonio naturale ma è al tempo stesso creatrice di Bellezza, attraverso la costruzione di edifici ispirati da motivi religiosi e ultraterreni. In questo modo, il contrasto tra i fini dell’azione umana e le sue manifestazioni torna a riproporre quello tra gli ideali di libertà e la loro realizzazione concreta, al centro dell’opera di questo artista.
Pietro Ruffo draws the maps of freedom
The artistic activity of Pietro Ruffo (Rome-1978) has so far concentrated on the theme of freedom, using geographical maps as an expressive medium. An artist with great skills as a craftsman and a designer, he also has a long collaboration with the Maison Dior where he was called by his creative director Maria Grazia Chiuri. On 14 March, he inaugurated his last solo show entitled Planetary Garden at the Lorcan O’Neill Gallery in Rome.