(Tempo di lettura 4 minuti)
Lo Studio Masiero, una piccola ma valida galleria milanese, ospita fino al 18 aprile una retrospettiva di Elena Mezzadra (1926-2022), intitolata Intersezioni e trasparenze, con dipinti, sculture, grafiche, che non solo attraggono per la bellezza dei colori e delle forme, ma perché inquietano, provocando degli interrogativi profondi sul loro significato. Nella presentazione, Luca Pietro Nicoletti ci fornisce dei criteri interpretativi, parlando di “atto di fede assoluto e radicale alla pittura”, di “titanica solitudine che qui si è trasfigurata in elegante lirismo luminoso”, di quadri che “nascevano dal tracciato di grandi linee, dalla cui intersezione scaturivano poi delle forme e si intravvedevano le possibili sovrapposizioni e trasparenze , con i conseguenti sviluppi narrativi.” Sulla base di queste note la si potrebbe definire un’astratta geometrica ma questo non ci direbbe molto di più sui motivi della sua pittura e sui codici che impiega. Il critico Walter Rosa ha sostenuto di non si trattarsi di pura astrazione geometrica e che per vedere l’altro è necessaria “un’osservazione attenta e prolungata, non fugace”, come quella a cui mi sono apprestato.
All’inizio mi hanno colpito alcuni dettagli: che nelle opere e nei bei cataloghi messi a disposizione in mostra, non fosse rintracciabile un itinerario pittorico di avvicinamento all’astrattismo e che non si rinvenissero tracce né della progressiva spoliazione della figura e del paesaggio che giunge alla forma astratta, né della costruzione di un suo alfabeto pittorico. Inoltre, convinto come sono che ogni dipinto astratto abbia alla base un paesaggio, mi sono arrovellato alla ricerca degli archetipi da cui potessero provenire le sue forme immaginando raggi di luce, esplosioni che provocano squarci nel terreno, sollevamenti di strati geologici.
In un bel filmato di Gian Franco Poletto del 2010, Elena Mezzadra usava parole chiarissime “La vita è invasa continuamente da costrizioni e intrighi contrastanti che si muovono nel tempo. Il caso mette nello spazio imprevedibili sensi di direzione senza certezze rassicuranti, lasciando completa libertà solo ad un senso di isolamento. Questo può avere limiti irreparabili e uccidere ogni stimolo. Ecco allora il bisogno di una sfida, l’urgenza di comunicare, sperando di non essere troppo scoperti. Inizia così il lavoro ad una costruzione artificiale, una tecnica, un sistema, un linguaggio quasi privato, influenzato dai propri criteri interni per cercare dentro l’astratto, verità e conoscenza. Non c’è sicurezza di vittoria ma affrontare la prova è una necessità.”
In altre interviste la Mezzadra fa riferimento a degli ostacoli incontrati nella vita, che le hanno impedito di fare, alla sua natura di donna che l’ha sempre fregata, tanto da farle dire all’Ing. Boschi che, pur apprezzando i suoi quadri, non li comprava perché era una donna e queste: “promettono bene, ma poi si sposano e fanno figli”, che con lei “poteva andare sul sicuro, perché tanto aveva deciso di non avere figli” e infatti lei è l’unica donna entrata a far parte della collezione Boschi-Di Stefano, nonostante sue contemporanee milanesi siano state altre artiste come Federica Galli (1932-2009) e Grazia Varisco (1937). Ma di fronte agli ostacoli, ripensando alla sua vita, “l’unica cosa che mi ha lasciato fare, che ho voluto fare, perché la vita non mi ha lasciato fare quello che…, l’unica cosa che sono riuscita a fare, a tenere duro è dipingere.” Sì, perché dipingere è una fatica, fare il pittore è un mestiere che stanca molto, ci vuole un impegno che non finisce mai perché la pittura è un lavoro di solitudine.” Qui la Mezzadra si inscrive perfettamente nel profilo dei veri artisti delineato da Giovanni Fumagalli, il fondatore della Galleria delle Ore (1902-1995) con cui la nostra strinse un sodalizio forte , che sono “quelli che pagano, soffrono, si arrabbiano, che hanno qualcosa che li morde e non sono mai contenti.” Il tema della solitudine, di un eremitaggio laico, come reazione all’isolamento e come scelta di meditazione per trovare la forma di quello che voleva dire, torna spesso nei suoi discorsi e ad esemplificarlo c’è il periodo che precedette la sua mostra al PAC di Milano del 2010 che, secondo sue dichiarazioni, fu preceduto da un periodo di 6 anni di preparazione e di sei mesi senza uscire di casa.
Ora, man mano che la matassa del senso sue opere si dipana, rintracciamo altre informazioni: “Queste linee nere sono gli ostacoli che la vita… anche il colore è un modo di esprimersi, se fai una cosa rossa o una rosa tonda è un modo di esprimersi.” “ Ho cercato di essere sincera, in solitudine, perché solo con il silenzio e la solitudine si arriva a capire un po’ di fronte a qualcosa che ti spinge da una parte e dall’altra.”
Ma come avveniva il processo creativo, come apparivano alla sua mente le forme che vediamo nelle sue opere? Mi piace pensare che il suo sia stato simile a quello che si riscontra in poesia perché la sua arte è poetica ed è insistenza sui temi della sua vita, ostacoli, costrizioni, senso di isolamento, solitudine, scelta di rinuncia ai figli e pittura come unica possibilità di affermazione e sopravvivenza, con il rischio che tutto quello sforzo non serva, non sia riconosciuto. Mi piace pensare che, come per il poeta russo Osip Mandel’stam (1891-1938), a cui i versi si formavano sulla bocca dopo un lungo lavorio mentale e senza alcun ordine, perché magari si trattava di quelli che sarebbero stati alla fine del componimento, per la Mezzadra le linee e i volumi apparissero direttamente sulla tela o sulla carta per poi trovare un ordine. A questo proposito c’è un’ottava del 1934, pubblicata nel volumetto Come serena morte (Adelphi-2017), che potrebbe apparire una messa in versi delle opere della Mezzadra:
Superando la fissità della natura
il durazzurro occhio ne penetra la legge:
nella crosta terrestre impazzano le rocce,
dal petto sgorga un lamento minerale.
E il sordo animalcolo si tende
come per una strada a corno ritorta,
per capire l’eccesso interno dello spazio,
del petalo pegno, e della cupola.
The forms of solitude in the works of Elena Mezzadra
Studio Masiero, a small but valuable Milanese gallery, hosts until April 18 a retrospective of Elena Mezzadra (1926-2022), entitled Intersections and transparencies, with paintings, sculptures, graphics, which not only attract for the beauty of colors and shapes, but because they are unsettling, provoking profound questions about their meaning, finally opening up to the artist’s reflection on painting as a secular religion lived in silence and solitude, in the face of the contrasting pressures of existence.