Riflettere sul tempo: l’arte di Sophie Ko

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Sophie Ko – Geografia Temporale. I figli di Medea- 2019

Sophie Ko (Tbilisi–1981), vive e lavora a Milano, dove si era trasferita per frequentare il biennio di specializzazione all’Accademia di Brera, dopo aver conseguito il diploma all’Accademia di Belle Arti di Tiblisi. Avevo visto la sua ultima mostra, “Atti di resistenza” alla Galleria Building, a febbraio di quest’anno, che mi era piaciuta molto per i materiali e i colori impiegati: polveri di tonalità rinascimentale, oro, ali di farfalle, anche se non ne avevo compreso appieno il significato. Per descrivere brevemente le sue opere, senza rendere loro giustizia, posso dire che esse consistono, nella maggior parte dei casi, in grandi teche che contengono ceneri o pigmenti colorati, a volte sovrapposti, che nel momento in cui vengono issate in posizione verticale, subiscono l’azione della forza di gravità che produce effetti fisici: crepe, rotture, cedimenti e cromatici, in continuo cambiamento. L’intento di Sophie Ko non è però solo estetico; le sue opere sono la rappresentazione di un obiettivo e di un pensiero complessi: dare forma visibile al tempo e quindi al moto incessante della vita e della morte.

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Sulle tracce della terra: “Alone Together Ràquira” il progetto di Natalia Criado e Pietro Minelli nato in Colombia durante la quarantena

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Don Rejes, uno degli artigiani di Ràquira che hanno collaborato al progetto “Alone Together Ràquira” con alcuni degli oggetti realizzati

Ràquira è un piccolo centro della Colombia di circa 13.000 abitanti, posto a 2150 metri di altezza sul livello del mare, a circa due ore da Bogotà. È situata in quello che una volta era il territorio abitato dai Muisca, una civiltà di lingua Chibcha, organizzata in una confederazione di due territori retti da due Governatori, lo Zaque e lo Zipa. Secondo la tradizione, nelle cerimonie che si svolgevano su un lago sacro, lo Zipa si copriva il corpo di oro e offriva dalla sua zattera doni preziosi alla dea delle acque. La notizia giunse alle orecchie dei Conquistadores spagnoli che, convinti che lì si trovasse l’ El Dorado, il mitico territorio pieno di immense ricchezze, li conquistarono nel 1542.

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L’inquietudine ambientale di Bruno Liberatore

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Bruno Liberatore nel suo studio di Via del Vantaggio a Roma – 2007

Bruno Liberatore (Penne-1947) è uno dei più importanti scultori italiani. La sua bibliografia e l’elenco delle mostre personali e collettive a cui ha partecipato riempiono tantissime pagine in corpo otto e sui di lui hanno scritto i più importanti critici come, solo per citarne alcuni: Enrico Crispolti, Furio Colombo e Gillo Dorfles. L’ho incontrato per la prima volta a Roma nel suo studio, pochi giorni fa e anche se proveniamo dallo stesso paese, non l’avevo mai conosciuto personalmente, a causa forse della differenza di età (io sono del 1955) e del fatto che vivevamo in quartieri diversi, lui a San Comizio, io alla Madonna della Libera, che da ragazzo mi sembravano separati da distanze enormi. Certo ricordavo bene il suo profilo magro, il viso allungato e le sue sopracciglia foltissime, sotto cui si aprivano degli occhi azzurro chiaro che creavano un contrasto singolare e avevo visto l’unica mostra che era stata organizzata per lui dal Comune di Penne nel 1987, in cui emergeva già il tema della natura e delle montagne.

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“Siamo forse migliori noi?” Cosa è cambiato dal “Ragazzo di Turkana” vissuto 1,6 milioni di anni fa ai “Cittadini” fotografati da Paola Di Bello?

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Carmelo Micalizzi – Siamo forse migliori noi? – 1991

Sulla Lettura del 21 giugno di quest’anno, era apparsa una lunga intervista del filosofo Telmo Pievani al noto antropologo keniota Richard Leakey (Nairobi, 1944), in cui si annunciava la nascita di “Ngaren” (L’inizio), il Museo dell’Umanità. Realizzato in collaborazione con Naturalis, il Centro sulla Biodiversità di Leida e con la partecipazione dell’antropologa e designer museale Federica Crivellaro, sorgerà in Kenya, dove Leakey ha condotto le sue ricerche sull’origine della vita. Nel 1984, nel corso di queste indagini nei pressi del lago Turkana, era stato ritrovato lo scheletro di un ominide morto a 10 anni e risalente a 1,6 milioni di anni fa, denominato Ragazzo di Turkana. Per il suo ideatore Ngaren avrà la missione di un cambiamento di mentalità: partendo dalla constatazione che l’umanità si è sviluppata in Africa e illustrando la sua evoluzione attraverso le scoperte fatte in quel territorio, mostrerà che noi esseri umani siamo una creazione del mondo, non divina e che i pregiudizi razziali non hanno senso.

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“Cambiare l’acqua ai fiori” di Valérie Perrin. Anche in un cimitero un filo d’erba può farci tornare a vivere.

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March Chagall-Le porte del cimitero-1917-Centre Pompidou-Parigi

“Cambiare l’acqua ai fiori” è un romanzo della scrittrice francese Valérie Perrin, uscito in Francia nel 2018 e pubblicato in Italia da E/O con la traduzione di Alberto Bracci Testasecca, da qualche settimana ai primi posti nella classifica dei libri di narrativa straniera. È un romanzo di amore, o meglio di amori e di rapporti amorosi e familiari, perché intreccia le storie di quattro coppie: quella della protagonista e voce narrante Violette Trenet e Philippe Toussaint, quella dei genitori di Philippe, quella degli amanti Irène Fayolle e Gabriel Prudent, quella del fratello della madre di Philippe, Luc e di sua moglie Françoise. Accanto a loro due persone sole: Sasha e Celia che aiuteranno la protagonista a ritrovare la propria strada. Potrebbe apparire un romanzo rosa ma si tingerà di giallo e di nero e dei toni di una tragedia greca, perché le passioni che animano i protagonisti e l’incapacità di guardare al di là di queste finiranno per decidere del loro destino.

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Perché continuare a dipingere fiori? L’artista Pep Marchegiani risponde con le sue opere

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Pep Marchegiani -Epicentre – 2019

La casa dei miei genitori era in una via dedicata al pittore Mario de’ Fiori, pseudonimo di Mario Nuzzi (1603-1673), un artista divenuto famoso per la sua abilità nel dipingere i fiori che, essendo figlio di un floricultore, ebbe  modo di osservare nelle serre paterne e disegnare fin dall’infanzia. Visse e lavorò principalmente a Roma e poi in Toscana dove svolse importanti incarichi per i Barberini e per altre famiglie nobiliari e poi per la collezione di nature morte dei De’ Medici. Il suo nuovo nome comparve per la prima volta nel certificato del suo secondo matrimonio dove appare come” Marius, Pictor Romanus, vulgo Mario de’ Fiori”. Ottenne numerosi riconoscimenti e può essere ritenuto il maestro di generazioni di pittori “fioranti”, italiani e stranieri.

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Sulle tracce della terra: dal Museo delle ceramiche Acerbo di Loreto Aprutino a Castelli e a Castelbasso

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Vaschetta Frigidaria con scene della vita del Re David- Bottega Grue – Seconda metà del XVII secolo – Museo Acerbo delle ceraniche di Castelli – Foto Michael Kenna

La ceramica sta vivendo in Italia un momento molto felice, dovuto anche allo sviluppo di una maggiore sensibilità ambientale che avvicina il pubblico a questa espressione artistica, come testimoniato anche dal successo di alcune iniziativa come TMD2020 e la mostra di Maria Cristina Carlini, svoltesi a Milano. A tale proposito, durante il mese di agosto, chi avesse voluto avrebbe potuto compiere, in un solo giorno, un viaggio attraverso lo sviluppo della ceramica italiana, visitando il Museo Acerbo delle ceramiche di Castelli a Loreto Aprutino, il paese di Castelli e la mostra della Fondazione Malvina Menegaz “La forma della terra. Geografia della ceramica contemporanea in Italia”, svoltasi a Castelbasso in provincia di Teramo, tutte località site in Abruzzo a non eccessiva distanza tra di loro.

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I lavoratori del mare di Mario Morigi

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Mario Morigi – Olio sul tavola- 1955- Ristorante A’Riccione – Milano

A’ Riccione è il più noto ristorante di pesce di Milano. Fondato negli anni 50, continua la sua attività grazie ai fratelli Di Paolo che hanno rilevato e rinnovato la sua gestione negli storici locali di via Taramelli. Qui sono stati conservati parte degli arredi e dell’ambientazione originale, tra cui una serie di oli su tavola di grandi dimensioni e un mosaico di una decina di metri di lunghezza e di oltre un metro di altezza che arredano due delle tre sale in cui si svolge l’attività. Si tratta di elementi dell’allestimento che Mario Morigi (1904-1978), artista cesenate, aveva realizzato per conto degli allora proprietari, la famiglia romagnola Metalli e su invito di Alberto Rognoni, cesenate anch’egli e proprietario del Guerin Sportivo nonché fondatore del Cesena Calcio.

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Agricoltura e arte in Abruzzo. Dal frantoio di Raffaele Baldini Palladini a Pollinaria

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Museo dell’olio di Loreto Aprutino (PE)-La targa dell’oleificio di Raffaele Baldini Baldinelli

Ho trascorso il mese di agosto in Abruzzo dove ho avuto l’occasione di visitare l’antico frantoio di Raffaele Baldini Palladini (RBP) (1842-1916) e che oggi ospita il Museo dell’olio di Loreto Aprutino (PE). Il Palladini, un originale e innovativo imprenditore oleario, avviò la costruzione di un vero e proprio marchio alimentare come inteso oggi, mescolando elementi materiali e immateriali, in modo da valorizzare il proprio olio d’oliva.

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Quattro capanne più una. Il valore della semplicità per A. Bellobono, C. Moulin e L. Caffo

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La capanna di Charles Moulin sul Monte Marrone a 1805 m slm (Molise)

In questi giorni, in cui si susseguono  i dibattiti e le indagini su quali dovrebbero essere i valori della ripartenza, vi propongo di parlare della semplicità, a partire dall’esperienza di Angelo Bellobono (Nettuno, 1964), artista e sportivo,  Charles Moulin (Lille, 1869-Isernia, 1960), pittore francese che trascorse gran parte della sua vita nel Molise e Leonardo Caffo (Catania, 1988), filosofo, autore del libro “Quattro capanne o della semplicità”.

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