L’artista senegalese-italiana Binta Diaw (1995) presenta a Milano, fino al 6 dicembre, alla Galleria Prometeo di Ida Pisani, la mostra La plage noir, una nuova opera in cui sviluppa i temi della libertà e dell’emancipazione in un contesto post-coloniale, già toccati in precedenti esposizioni come Chorus of soil del 2019 e Dïà s p o r a del 2021. Nell’installazione impiega materiali e mezzi espressivi che rappresentano ormai una sua costante: acqua, terra, semi, piante come simboli di rete, rifugio, vita, libertà, connessi idealmente mediante fili annodati a mo’ di trecce, raffigurazione storica e antropologica della condizione delle popolazioni, in particolare femminili, sottoposte al dominio delle potenze coloniali, a cui si uniscono immagini del proprio corpo fotografato in modo da renderlo simile ad un paesaggio naturale, come nella serie Paysages Corporelles series del 2019.
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Quattro visioni dell’oceano e i 50 Mari di Mathieu Lehanneur
Quest’anno la Giornata degli Oceani, ricorrente l’8 giugno, si è svolta in concomitanza con la Biennale di Venezia e la Design Week di Milano ed è stata celebrata sia in queste manifestazioni sia in alcuni altri eventi collaterali. Al tempo stesso essa è stata l’occasione per fare il punto sull’oceano e il mare, che qui intendo come sinonimi, come luogo artistico e anche sullo spazio che essi hanno nella trattazione artistica ambientale. Pur essendo deputati alla produzione di ossigeno e di risorse alimentari essi continuano ad essere per noi umani luoghi inospitali, in cui non possiamo vivere e in cui non prevediamo di farlo nei prossimi decenni, mentre stiamo sviluppando il nostro viaggio su Marte, e che anzi sono divenuti minaccianti a causa del rischio dell’innalzamento del loro livello. D’altro canto, l’oceano, come dice la curatrice e storica dell’arte Chus Martinez (1972), è un luogo che racchiude storia e cultura e quindi abilitato ad essere oggetto artistico da vari punti di vista.
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