Nel corso della mia visita alla galleria LUAR, in via Bandinelli 60 a Milano, di cui ho parlato in questo blog, mi ero imbattuto in alcune statue in pietra dello scultore Kengiro Azuma (1926-2016) che aveva avuto, lì accanto, al piano terra di una palazzina, il proprio studio/abitazione, oggi luogo di lavoro del figlio, l’arch. Ambrogio Azuma che mi ha aiutato, nel corso di una chiacchierata al telefono, a inquadrare la figura, umana e artistica, del padre.
Sono già noti alcuni avvenimenti della vita di Kengiro Azuma che hanno influenzato profondamente la sua ricerca artistica: la provenienza da una famiglia di fonditori di bronzo che realizzava campane; la partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale come pilota kamikaze che però si salva grazie alla fine del conflitto; la crisi che attraversa subito dopo, quando per un anno, non esce di casa come un Hikikomori. Durante questo periodo matura l’idea di dedicarsi all’arte e grazie a una borsa di studio, giunge in Italia, dove resterà tutta la vita, per seguire il lavoro di Marino Marini. Ma va considerata anche la sua “identità ambientale”, intesa come connessione psicologica e culturale con la natura del proprio paese di provenienza, il Giappone, caratterizzato da fenomeni climatici estremi e da frequenti terremoti e maremoti, con grandi conseguenze umane, fenomeni naturali che lo shintoismo, la religione nazionale giapponese, ritiene manifestazione di forze divine. Il figlio mi spiega che i giapponesi, a causa dell’estrema precarietà dell’esistenza dovuta alla geologia e al clima, sono abituati a vivere nel presente, serenamente, grazie a questa consapevolezza. Una mia amica, l’artista giapponese Asami Takahashi aggiunge che, per vivere bene devi usare concetti semplici che vadano alla radice delle cose e che lo stato migliore è il niente perché ti consente di non soffrire.
Continua a leggere